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I silenzi colpevoli sulla tirannia del potere giudiziario

Giuliano Ferrara

L’orrore di un’opinione pubblica che legittima la guerra dei giudici contro l’autonomia della politica. Dal Cav. a Fillon

L’argomento non passa. Questo giornale ne ha fatto una delle sue battaglie ultraventennali, senza distinzioni lungo le linee della destra e della sinistra, senza privilegiare l’amico e cercare di distruggere il nemico, ma l’argomento non passa. L’idea in apparenza semplice che i magistrati possono e devono fissare i limiti legali dell’azione pubblica e politica, ma la procedura deve garantire la loro imparzialità assoluta e la tutela del diritto dei cittadini di essere loro stessi a decidere chi li rappresenta e chi li governa, ecco, è un’idea che nessuno si fiderebbe di considerare sbagliata ma nessuno, eccetto minime minoranze, ha il coraggio o più banalmente la voglia di affermare e difendere. C’è un caso Fillon-Berlusconi a dimostrarlo.

 
Berlusconi è un imprenditore cresciuto nella giungla, e ha “i beni al sole”, come mi disse Craxi segnalandolo come il suo punto debole in quanto nuovo soggetto della politica. Va bene. È un outsider, uno che ha rubato ai politici il loro mestiere e lo ha messo sottosopra incarnando per primo il maggioritario e il suo linguaggio, senza aver fatto alcuna gavetta in Parlamento e nei partiti, senza una tradizione o ideologia di partenza chiare, solide. François Fillon è il contrario. Un insider, da trentacinque anni è un politico gollista, tradizione sicura e robusta. È un tipico gavettaro, di origini provinciali (la Sarthe), uno che ha vissuto nella sua famiglia politica tutte le esperienze di tirocinio, da sindaco a deputato, da primo ministro a capocorrente, da candidato alle primarie a candidato presidenziale per scelta della base, milioni di voti. Berlusconi è un uomo di spettacolo e di sé ha sempre fatto spettacolo. Fillon ha la faccia seria, una tenuta composta, è addirittura il prototipo dell’uomo politico convenzionale della destra gollista francese, lo è nel portamento, nell’esperienza, nell’abito, nello stile.

 
Entrambi hanno dei punti deboli, chiunque li ha. Entrambi sono stati oggetto di indagini e iniziative giudiziarie, Fillon è all’inizio, Berlusconi va verso la fine. L’italiano si muove nell’informalità del nostro modo di vivere, il francese è il massimo della formalizzazione. Eppure, di fronte alla collisione tra le procedure dell’ordinamento giudiziario e il loro status di rappresentanti dell’elettorato in una democrazia rappresentativa fondata sulla divisione dei poteri, hanno usato le stesse parole: è un assassinio politico, la procedura è politicizzata ad personam, è leso il diritto democratico del popolo. Anche a sinistra, quando è toccato a grandi e piccoli attori del teatro di sinistra (dall’Italia all’Europa al Brasile), si è ascoltata in diverse forme la stessa eco. Ma al dunque, quando sia colpito l’avversario, la scena è sempre la stessa: nessuno (piccole eccezioni) accetta il fatto che esista un problema oggettivo, di funzionamento della democrazia liberale, i politici dell’altra parte, di tutte le altre parti, manovrano per ottenere un vantaggio provvisorio richiamandosi all’eguaglianza davanti alla legge e alla tolleranza zero, incuranti del fatto che domani toccherà a loro (è una regola, questa, praticamente senza eccezioni), e i guru dell’intelligenza e dei media, i testimoni del tempo, tacciono o svicolano o si mantengono in prudente riserva (mica tutti sono Sabino Cassese).

 

Per non parlare dell’interesse dei mass media a suonare la grancassa. Oggi in Francia Fillon è solo con i suoi sostenitori di base, finché dura, e tutti, dagli avversari interni che vogliono sostituirlo a quelli esterni che gioiscono per la sua difficoltà, ignorano il dovere di questa riflessione oggettiva sul prepotere della procedura giudiziaria che è capace di stroncare il potere democratico nel suo esercizio senza tanti complimenti, in solitario, in base al privilegio dell’autonomia del magistrato, quell’autonomia che dovrebbe rispettare in modi compatibili, senza rinunciare a sé stessa e al suo dovere di tutelare l’impero della legge ma senza sostituirlo alla sovranità popolare, l’eletto del popolo o il candidato.

 
L’argomento non passa. È falso? Può essere. In questo caso dovremmo accettare che l’iniziativa di un magistrato sta al di sopra del voto popolare e dell’autonomia del sistema politico liberaldemocratico dal potere di un ordinamento non elettivo. In realtà, come sappiamo, e come per esempio ha spiegato bene Cassese, quello che si autocomprende e si proclama integrismo etico del magistrato di fronte a questioni di legalità è molto spesso, in modo sospetto, una forma di populismo giudiziario o giustizialista che si manifesta nella indiretta o diretta implicazione del ceto togato nel “fare politica”, anche con coinvolgimenti personali spettacolari in ruoli di parlamentare, di ministro, di sindaco o governatore, invece che essere “bocca della legge”, e di una legge che rispetta la divisione dei poteri. La verità è questa ma l’aria che tira, fra codardia delle classi dirigenti, pressione del pensiero dominante e presunti interessi particolari, la spazza via facile.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.