Ernesto Galli della Loggia (foto LaPresse)

La ragione dell'incredibile silenzio sull'ultimo libro di Galli della Loggia

Giuseppe Bedeschi

Critiche al Pci e lodi a Craxi: troppo per la stampa italiana

Nel novembre dell’anno scorso è uscito (presso il Mulino) un importante libro di Ernesto Galli della Loggia, Credere, tradire, vivere. Un viaggio negli anni della Repubblica, ricco di analisi acute, che inducono a rimeditare gli snodi essenziali della storia della cosiddetta Prima Repubblica. Un libro importante, ho detto. Ma un libro – ecco una cosa che mi ha molto colpito – sul quale è scesa una coltre di silenzio: nel senso che la grande stampa italiana lo ha del tutto ignorato. Nessuna recensione, che io sappia: né su Repubblica, né sulla Stampa, né sul Sole 24 Ore, e via enumerando. Eppure i nostri grandi giornali si affrettano a parlare anche di libri di scarso pregio. Nel caso del libro di Galli, no: non vale la pena di spendere su di esso nemmeno una parola (e si tratta di un’opera di uno dei più autorevoli editorialisti del Corriere della Sera!). Vale la pena di chiedersi: perché?

 

Io ho un sospetto: che il silenzio con cui il libro di Galli della Loggia è stato punito sia dovuto al fatto che egli critica a fondo la politica seguita dal Pci in Italia dal secondo Dopoguerra in poi, e per converso mette in rilievo le molte novità positive della politica di Craxi. Apriti cielo! Chi osa criticare Enrico Berlinguer, depositario della moralità politica? Ma l’autore ha la sfrontatezza di ricordare che nel 1984, intervistato a Mixer da Giovanni Minoli, alla domanda su chi fosse la personalità internazionale cui andava la sua preferenza, Berlinguer rispose: Janos Kadar (nel 1984!); mentre in quegli anni (ricorda il nostro autore) erano protagonisti sulla scena europea personaggi come Willy Brandt e Helmut Schmidt, François Mitterrand e Olof Palme.

 

Prima dell’avvento di Craxi alla segreteria del Psi, ricorda ancora Galli della Logia, il segretario socialista De Martino dichiarò che non avrebbe mai più partecipato in modo organico ad alcun governo che non comprendesse anche i comunisti. “Un’autocertificazione di subalternità di cui è difficile, credo, trovare un esempio analogo nell’intera storia politica europea”.

 

Molti anni dopo la caduta di Craxi, un intellettuale socialista lucidissimo, Luciano Cafagna (che non aveva mai ceduto alle lusinghe del potere), scrisse che Craxi aveva avuto di mira fin dall’inizio una cosa “chiarissima e costantemente presente: sostituire una leadership socialista ‘socialdemocratica’ a quella comunista che aveva prevalso per un intero periodo storico nella sinistra italiana”. Galli della Loggia, citando questo giudizio di Cafagna, lo fa proprio, e aggiunge: “Con Craxi, insomma, l’egemonia del Pci sulla sinistra italiana, fino ad allora incontrastata, anzi progressivamente accresciutasi, minacciava di andare in frantumi e ciò avveniva – cosa massimamente insopportabile – per un processo nato all’interno della sinistra stessa. Allora e sempre questa sarebbe stata la sua vera colpa”. Craxi, dunque, come critico e avversario tenace dei miti (tutti fallaci) del comunismo.

 

Apriti cielo! Ma come osa Galli della Loggia riconoscere i meriti di Craxi? Craxi era un demonio, una canaglia, un cialtrone (come lo definì il segretario di Berlinguer Tonino Tatò), Berlinguer, invece, era un santo. Ma ci sono altre cose assai salutari nel bellissimo libro di Galli della Loggia, che urtano la communis opinio della quasi totalità degli intellettuali italiani. Come quando egli ricorda che Altiero Spinelli, appena eletto come “indipendente di sinistra” nelle liste comuniste, affermò che il “compromesso storico” era lo strumento più idoneo per superare niente di meno in tutte le democrazie europee il meccanismo dell’alternanza che ne caratterizzava il quadro politico-parlamentare. “Col gioco dell’alternanza – scrisse Spinelli – i governi di sinistra sono labili, o durano a lungo, come vediamo in Inghilterra e in Germania, ma a patto di mettere da parte ogni velleità innovatrice e di limitarsi, praticamente, a gestire la società così com’è. […] L’alternanza è diventata sinonimo di impotenza innovatrice e riformatrice”. Parola di Spinelli. Caspita, che liberale!

 

O come quando Galli della Loggia ridimensiona fortemente un altro “mostro sacro”, presentato di recente, in occasione della sua scomparsa, come uno dei padri della cultura italiana della seconda metà del Novecento: Tullio De Mauro. L’autore ricorda che De Mauro, in un libro che raccoglieva i suoi scritti giornalistici degli anni Settanta (Le parole e i fatti, Editori Riuniti, 1977), deprecava come una “forma di studio che fa diventare ‘amici del padrone’ […] lo studio come acquisizione individualistica di nozioni che consentono di emergere nella competizione sociale”, ovvero “lo studio egoistico finalizzato al successo nella società borghese”, e definiva “inutili scorie registri, voti individuali […] e in prospettiva le stesse pareti divisorie delle aule”. Vere e proprie idiozie (di sapore sessantottesco) che si stenta a credere che siano state scritte.

 

E altre perle si potrebbero citare (riportate nel libro di cui parliamo) di “illustri maestri”. Caro Ernesto Galli della Loggia, ma Lei come si permette?