(foto LaPresse)

Così è “diretta” la democrazia dei grillini

Lorenzo Castellani

Come funziona, a Roma e non solo, la governance ibrida del movimento di Beppe Grillo, con la sovrapposizione costante tra la Casaleggio Associati e le istituzioni pubbliche

Se si volesse usare un’espressione della scienza politica si direbbe che quella imposta a Roma dai 5 stelle è una governance ibrida. Significa che istituzioni pubbliche e private si fondono insieme, annacquando i confini tra una società di capitali e il Comune di Roma, tra spazi della politica e funzionamento del management privato. Ciò che i grillini stanno mostrando nella Capitale, ma la dinamica si ripete anche altrove e persino su scala nazionale, è la sovrapposizione tra la Casaleggio Associati, la leadership carismatica di Grillo e le istituzioni pubbliche. Dal punto di vista dell’analisi politica stiamo assistendo ad un fenomeno inedito in cui profitti privati, leaderismo e governo della cosa pubblica s’intrecciano tra loro delineando uno scenario da romanzo utopico.

La democrazia diretta dei pentastellati è effettivamente “diretta” da una società privata e dal suo speaker. Per la prima volta la sovranità politica che si nutre della democrazia viene appaltata ad una società d’affari che si occupa del decision-making e delle nomine pubbliche. Vista al microscopio la struttura dei grillini si basa su due basi fondamentali: Grillo e la Casaleggio Associati. Intorno a questi si muovono gli eletti della rete e, quando conquistate, tutte le decisioni fondamentali della vita istituzionale. I due pilastri, società privata e leader, decidono inoltre il funzionamento politico: luogo e modalità delle riunioni, quando gli iscritti votano o meno sul blog, chi sale e chi scende nelle gerarchie del Movimento, quando si deve fare lo streaming o meno.

 

 

Lo staff della società di comunicazione decide, insomma, sugli strumenti per l’esercizio del potere. E’ una struttura complessa, ma abbastanza flessibile da poter essere piegata alla bisogna del momento. Fin tanto che le due basi fondamentali andranno d’accordo la molecola del Movimento 5 Stelle può continuare a funzionare, ma come ogni meccanismo di potere richiede la selezione continua di vincitori e vinti che le due matrici del partito stabiliscono a seconda delle occasioni e delle problematiche. Chi si mette di traverso viene espulso ed eliminato politicamente. Vediamo ora come, in termini partici, la governance ibrida dei grillini si organizza.

Prima di tutto la società privata detiene i simboli, gestisce tutta la comunicazione e i rapporti con la stampa, stabilisce meccanismi di accesso alla partecipazione, scrive i regolamenti, gestisce l’hub di siti e blog, guadagna con la pubblicità derivante dal numero delle visualizzazioni su queste piattaforme. In secondo luogo, questa profila i candidati ad una determinata carica e spinge quello che ha maggiori probabilità di successo elettorale verso la vittoria delle elezioni. Non esistono meccanismi pubblici di riscontro e verifica dei voti espressi quindi, per quanto è possibile saperne, il sistema di voto elettronico utilizzato dal Movimento potrebbe anche manipolare il numero e le preferenze effettivamente espresse dagli utenti. I risultati, insomma, potrebbero essere predeterminati o influenzati dalla Casaleggio&Associati. Lo stesso meccanismo si determina a livello nazionale sia in termini elettorali che mediatici in cui la società decidere chi sponsorizzare presso i media in un dato momento, chi prende parte alle decisioni, chi può scrivere o effettuare dichiarazioni, chi partecipa alle consultazioni e via dicendo.

Una volta al governo, il capo carismatico Beppe Grillo e il titolare della società privata, Davide Casaleggio, decidono come risolvere i problemi politici con riunioni riservate, telefonate, spostamenti di incarichi, sostituzioni, selezioni del personale politico. In questo caso, gli iscritti del Movimento non hanno facoltà di intervento o di voto su queste dinamiche. Infine, l'eletto firma un contratto con la società privata che gestisce il partito. Il contratto prevede che sulle questioni politico-giuridiche importanti l'eletto consulti la società privata per risolvere tali questioni secondo il volere del titolare e di Beppe Grillo. Se viola le regole viene disconosciuto, perde l’utilizzo del simbolo e deve pagare una sostanziosa penale.

Questa struttura e questo insieme di tecnologie del potere, qui descritte secondo il canone machiavellico della “realtà effettuale della cosa”, ha permesso, fino ad oggi, al Movimento 5 stelle di superare i momenti di impasse o difficoltà politica e di sfruttare i momenti favorevoli. La prova dei fatti, a livello elettorale, è l’oscillazione tra la stabilità nei consensi e la crescita elettorale. Una meccanica infernale, ma funzionante.

Certo, il successo di questi metodi non può offuscare una riflessione sulle conseguenze che questi determinano a livello politico e, sopratutto, istituzionale. Perché, nel caso del Movimento 5 stelle, le istituzioni e le decisioni pubbliche vengono colonizzate da una società privata. Gli elettori si limitano a scegliere i candidati quando e come la Casaleggio Associati lo richiede. Un sistema non troppo distante da quello dei vecchi partiti, ma con l'aggravante che in questo caso non esistono organismi collegiali e congressi regolati.

La partecipazione è one-shot: in un colpo solo quando disposto dal capo carismatico e dal titolare della società privata. Così i governanti eletti diventano, di fatto, dipendenti della società di comunicazione che possono essere licenziati in qualsiasi momento di difficoltà politica. Pubblico e privato si fondono a livello decisionale perché le decisioni pubbliche vengono prese da una società di capitali. Così il potere privato risucchia le istituzioni pubbliche. Il governo dei 5 stelle è un esecutivo privatizzato e contrattualizzato nel quale l’obbligazione contrattuale sostituisce l’obbligazione politica a livello fondamentale cioè nelle stanze del governo e nei meccanismi partitici. Un nuovo vincolo esterno è stato inventato e applicato: vincolo contrattuale attraverso cui una società di capitali gestisce, da lontano, le istituzioni pubbliche. Un assetto che mai è stato immaginato nemmeno nella più visionaria delle utopie ultra-liberiste.