Beppe Grillo (foto LaPresse)

Da Milano a Roma: il voto popolare è di nuovo in balìa dello strapotere giudiziario. Anche grazie ai grillini

Redazione

Grillo che grida al complotto contraddice tutta l’impostazione giustizialista su cui si fonda la retorica becera del M5s

 

Le iniziative giudiziarie simultanee che hanno colpito le amministrazioni civiche delle due maggori città italiane, e che seguono quella che ha avuto come oggetto un discorso elettorale del presidente della Campania, Vincenzo De Luca, danno la sensazione di un paese ancora una volta in balìa delle procure. Il caso milanese mostra come sia più rilevante la lotta interna alla procura che il giudizio elettorale dei cittadini. Il lungo rimpallo tra inquirenti e procura generale aveva consentito che le elezioni meneghine si svolgessero senza pesanti interferenze, che però si sono palesate ora. I dati disponibili sono gli stessi dell’anno scorso, ma è cambiato il clima politico, e si ha l’impressione che sia questo a far scattare le incriminazioni che finora erano state negate. Qualcosa di simile accade a Roma. Le operazioni pasticciate dell’amministrazione di Virginia Raggi erano evidenti già da tempo: se costituiscono argomento per un’indagine penale e non solo per una critica politica fondatissima, questo vale oggi come prima del referendum. Anche l’arresto di Raffaele Marra, se è legato alla sua firma illecita su un decreto di assunzione del fratello, come si dice, è improprio. Il rischio di reiterazione del reato ci sarebbe solo se Marra avesse altri fratelli da immettere nei ruolo apicali dell’amministrazione capitolina. Naturalmente è giusto che, nel merito, si svolgano tutte le indagini opportune e fa quasi tenerezza la protesta di Beppe Grillo che denuncia attacchi proprio ora che il Movimento 5 stelle pare avere il vento in poppa.

 

Se il suo intento è di affermare che quando qualcuno si avvicina al potere le procure si affrettano a far pesare il loro ruolo – anche in modo preventivo – ha ragione, ma questo contraddice tutta l’impostazione beceramente giustizialista su cui si fonda la retorica (e la proposta politica, per quel che vale lo slogan del “tutti a casa”) del movimento. E adesso ci tocca anche difendere Raffaele Marra. Quello che è in discussione è il primato della democrazia, della sovranità popolare, indipendentemente dal fatto che venga esercitata attraverso la delega elettorale o con meccanismi informatici quanto misteriosi di democrazia diretta (magari da un blog). E’ naturale che gli sconfitti nelle elezioni di Milano e di Roma utilizzino le vicende giudiziarie che hanno colpito i vincitori per rafforzare la loro propaganda. Dovrebbero però riflettere, senza fare sconti ai sindaci e alle giunte che osteggiano, sulla condizione di una democrazia vigilata, che verrebbe perpetuata anche con un cambio del segno politico delle maggioranze. E’ giusto che si accendano le critiche politiche, ma c’è il rischio che la dialettica tra le parti finisca annullata dall’interventismo dominante dello strapotere giudiziario.