Alessandro Di Battista (foto LaPresse)

Esce il libro di Dibba, lo pubblica Berlusconi e non è una battuta di Grillo

Salvatore Merlo

Il Guatemala come metafora. Ma dov’è la disintermediazione?

A Eugenio Scalfari, che criticava Beppe Grillo, il simpatico e smanioso deputato del Movimento 5 stelle Alessandro Di Battista rispose così, un giorno di novembre 2014, su Facebook: “Mai una parolina sull’uso ad personam del potere da parte dei potenti, vero? Non sia mai! Il suo giornale mi rifiutò un reportage sulle violazioni dei diritti indigeni perpetrate da Enel in Guatemala”. E poi: “Stavo in mezzo alla selva a supportare popolazioni autoctone millenarie che lottano per il bene comune e la madre natura. Ho scritto e inviato il materiale al giornale che lei ha fondato, Direttore. Nulla”. E insomma Scalfari aveva niente meno che un Di Battista originale tra le mani, e non lo pubblicò. Pazzo. Non sa che si è perso.

Più lungimiranti furono Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Il primo, nel 2011, cominciò a pubblicare le corrispondenze centroamericane del giovane Ale (o Dibba) sul totemico blog; il secondo fece poi raccogliere tutto il materiale e finalmente pubblicò un ebook, un libro digitale, i diari della motocicletta di Dibba, una cosa a metà tra Chatwin, Che Guevara e Saviano, un epico e appassionato inchiestone/raccontone dal titolo “Sicari a cinque euro”, Casaleggio Associati editore. Sintesi: in una terra martoriata da continui colpi di stato dietro i quali l’autore – mettendosi anche personalmente in pericolo – riconosce in tutta evidenza la manina della Cia, delle banche, dei petrolieri, delle multinazionali (ogni tanto anche di Israele) e di tanti altri mostri oscuri, in questo inferno raccontato in presa diretta, e con ambizioni di disvelamento, si muove un popolo lacero, affamato, disperato e tenuto sotto scacco, tra le altre cose, dagli squadroni della morte che fanno fuori tutti i buoni e coraggiosi che si oppongono al sistema marcio.

La premessa era necessaria perché questa prima fatica letteraria di Alessandro Di Battista, questo suo “Guatemala come metafora” (dell’Italia), ritorna oggi, qua e là, e non più come metafora (ma con i giornalisti al posto degli squadroni della morte), nel suo secondo libro, un libro vero, non più un ebook, ma un libro di carta, tradizionale e non disintermediato, come usa dire oggi tra i blogosferici grillini, un manufatto con sovracopertina rigida ed editore mainstream: Rizzoli, niente meno, dunque Mondazzoli, o Moncàzzoli, come diceva spiritosamente Sergio Saviane quando negli anni Settanta immaginò la fusione tra le due grandi case editrici italiane (ma secondo Saviane sarebbe stato Angelone Rizzoli a comprare Mondadori, e non viceversa).

E insomma il libro di Dibba s’intitola “A testa in su”, ovvero: “Investire in felicità per non essere sudditi”, e per candore, voga e foga, sembra scritto da Lara Cardella, ve la ricordate? “Volevo i pantaloni”. Uscirà il 24 novembre, e l’editore, in soldoni, è Silvio Berlusconi, lui che rimane sempre un po’ Caimano, ovviamente, in quanto padrone, corruttore e potere forte sempre degno di un vaffa, ma pure, come ormai dicono in molti, compreso Dibba, “uno che è meglio di Renzi”. E dev’essere per questo che i suoi avversari pubblicano con lui, e adesso anche il più simpaticamente sbrigliato dei cinque stelle, cioè Di Battista, il quale – tra parentesi – nei giorni in cui raccontava dell’incomprensibile rifiuto di Scalfari di pubblicare quei suoi famosi reportage sulle “popolazioni autoctone millenarie che lottano per il bene comune e la madre natura”, proprio in quei giorni del 2014, rivelava anche, e con la stessa simpatica tendenza alla mitomania, che “Berlusconi mi vuole nel suo partito”. E insomma il Cavaliere, che ha gusto – era il sottinteso – aveva capito di che buona stoffa era fatto Di Battista. “Ma io non mi faccio comprare”, rassicurò lui. Dunque Arcore no. Mondazzoli (o Moncàzzoli), insomma Segrate, sì.

Ma a questo punto bisogna proprio chiedersi a che serve un altro libro di un uomo politico, nel paese in cui purtroppo i politici, di destra e di sinistra, tendono quasi tutti, forse devoti al vecchio De Sade, ad affliggere librerie e lettori con i loro capidopera da macero e da svenimento, da discarica e da asfissia. Perché un libro di carta e non un ebook della Casaleggio Associati? E’ sempre vero che il libro di carta può servire alla zia Pina per mettere in pari le gambe di quel vecchio e traballante tavolo in salotto (dunque mai disdegnare la carta, se di giusto spessore). Ma basta guardare la copertina di questo romanzo di formazione dibattistiano (o dibattistico?), è insomma sufficiente osservare questa fotona che lo ritrae giovane bello e di scamiciato aspetto, per capire quale sia la funzione del libro: un solido feticcio su cui imporre una dedica, che vale più di un like su Facebook, ed è già una reliquia per un popolo di fan. Di Maio, che è meno pop di Dibba, per capirsi, fa un ebook.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.