Paolo Cirino Pomicino (foto LaPresse)

“Sì, è vero, in molti vengono da me a lezione di opposizione”, dice Pomicino

Marianna Rizzini
"I fondamentali della politica sono stati smarriti: non c’è nessuno, per esempio, in tutto questo gran discutere di riforme, che si domandi se, alla base, si vuole un sistema di democrazia parlamentare oppure un sistema di democrazia presidenziale”. Sano e robusto anti renzismo. Confessioni dell’ex ministro Dc.

Roma. Fare opposizione, sì, ma come, nel momento in cui massimamente infuria la campagna anti-referendaria? Si cercano dunque modelli di comportamento e consiglieri, presso le truppe variegate dei nemici di Matteo Renzi (e del referendum costituzionale). E Paolo Cirino Pomicino, in qualità di esponente storico della Dc nella Prima Repubblica, è al momento ambitissimo per le “chiacchierate politiche” che con lui volentieri fanno, su e giù per Montecitorio, esponenti dell’opposizione, ma anche della maggioranza. E Pomicino dice di “essersi reso conto”, parlando con parlamentari di ogni partito, “che i fondamentali della politica sono stati smarriti: non c’è nessuno, per esempio, in tutto questo gran discutere di riforme, che si domandi se, alla base, si vuole un sistema di democrazia parlamentare oppure un sistema di democrazia presidenziale”.

 

Noi siamo in una democrazia parlamentare, dice Pomicino, “il che significa che è il Parlamento che fa e disfa le maggioranze. Se invece, come dice Renzi, si vuole sapere la sera stessa del voto chi ha vinto le elezioni, allora si deve andare verso il presidenzialismo. Se si fosse affrontato alla base questo tema non ci si troverebbe, ora, di fronte a un ibrido (democrazia parlamentare con anelito al presidenzialismo) e di fronte alle arlecchinate retoriche che scontentano tutti e portano a degenerazioni inaccettabili”. La questione però è più “profonda”, dice Pomicino: “Sono vent’anni che i segretari di partito sono di fatto padri padroni nel partito. Gli organi collegiali o non ci sono più o non contano più. Conseguenza: è diventata impossibile la selezione darwiniana della classe dirigente, mentre si procede a una selezione cortigiana, con tutto quel che ne discende a livello di sprechi e relativa disaffezione dei cittadini al voto. E così, all’interno dei singoli partiti, quelli che sono in contrapposizione con i vertici, avendo smarrito per strada i fondamentali della politica, non sono capaci neppure di fare opposizione”.

 

Come fare “bene” opposizione, dunque? “Per fare un’opposizione di qualità”, dice Pomicino, sfogliando mentalmente le pagine di una sorta di Baedeker ideale, “bisogna lavorare sulla visione. Faccio un esempio: nel Pd, le ultime cose che ha detto il premier e segretario Matteo Renzi sull’Europa sono in parte vere, ma tardive. Per quale motivo, però, chi si oppone al premier non ha sottolineato il fatto che, sul problema migranti, alla Turchia, paese non Ue, erano stati dati sei miliardi di euro mentre all’Italia e alla Grecia soltanto la ‘possibilità’ di fare ulteriori debiti?”. Poi c’è il problema delle diseguaglianza sociali: “Perché gli oppositori di Renzi,” dice Pomicino, “non pungolano e non hanno pungolato il premier sulla riforma dei mercati finanziari, una riforma da mettere nell’agenda europea, essendo problema internazionale? Chi attacca il capitalismo finanziario selvaggio che ha impatto sull’economia reale dovrebbe puntare su un’opposizione che ponga al primo punto questi temi. Altrimenti si rischia di scivolare nel velleitarismo. Vedi esperienza di Syriza in Grecia, dei Podemos in Spagna e, in parte, dei Cinque Stelle in Italia”.

 

Per non perdersi, e per non restare in eterno “partiti di massa in cui uno solo decide”, oltre a fare opposizione “sui grandi temi, tralasciando il de minimis polemico”, ci si può ispirare alla Dc del 1961, dice Pomicino: “Al congresso di Napoli del 1961 si parlava di apertura democristiana al Psi di Nenni. Molti esponenti della Dc di allora, Giulio Andreotti compreso, non erano d’accordo e votarono contro l’elezione di Aldo Moro a segretario politico. Ma poi il partito si presentò unito sul fronte esterno, cercando sempre il minimo comune denominatore. Oggi invece si ha l’impressione che molti politici cerchino disperatamente il massimo comune divisore. Ed ecco che i partiti si trasformano in comitati elettorali: vale per l’opposizione come per la maggioranza, perché anche la maggioranza avrebbe bisogno di un contributo dialettico. E il Parlamento non può essere solo luogo di ratifica”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.