Qualunque disfunzione la riforma possa introdurre non eguaglierà il disastro di una vittoria degli analfabeti istituzionali

Guido Vitiello
Le ragioni del perché No sono conosciute e sono chiare e riguardano più il soggetto della riforma (Renzi) che l’oggetto della riforma (la Costituzione). Quelle del perché Sì sono meno evidenti, meno raccontate e per questo più interessanti. Cosa c’entra la generazione dei trenta-quarantenni con la riforma costituzionale? Girotondo fogliante.

Ogni volta che m’imbatto nella coppia Settis-Montanari ripenso a una frase di “Amore e guerra” di Woody Allen: “E c’erano il vecchio Grigorij e suo figlio, il giovane Grigorij. Stranamente il giovane Grigorij era più vecchio del vecchio Grigorij. Nessuno riusciva a capire come fosse andata”. Il duo, con la sua miscela combustibile di estremismo senile e senilismo estremo, sta lanciando gloriosi fuochi d’artificio nei cieli della campagna referendaria – il vecchio Grigorij che scrive una lettera esagitata a Napolitano, rimestando nella broda cospiratoria su JP Morgan come un teenager grillino, e viene da questi pubblicamente sbeffeggiato con signorile, diabolica eleganza; il giovane Grigorij che risponde all’affronto e suona il trombone militare in difesa del vecchio Grigorij, vantandone il prestigioso curriculum e le due lauree ad honorem in Giurisprudenza (abbondandis in abbondandum!). Ma non è in nome della giovinezza che darò il mio voto, è in nome di considerazioni perfino più senili di quelle che ispirano il novantunenne Napolitano. Considerazioni semplici al limite della banalità, prudenti al limite del conservatorismo e sconsolate al limite della rassegnazione.

 

Non sono un rottamatore, sono un rottame, reso tale dai traumi subìti all’origine della mia esistenza civile. Ho compiuto diciott’anni nel 1993. Al referendum sulla legge elettorale non potevo ancora votare, ma mi appassionai al grande dilemma di cui parlavano tutti: uninominale secco anglosassone o doppio turno alla francese? Queste – pare un sogno, oggi – erano le alternative. Venne il Mattarellum, e mi sembrò la più inaccettabile delle leggi. Ma come? Venticinque per cento di quota proporzionale? E lo scorporo? In effetti era un bel pastrocchio, ma col senno di poi, ripensando all’agonia degli anni successivi, agli orrori del Porcellum, al deprimente dilemma tra il Consultellum e l’Italicum, donerei un rene e una pinta di sangue per avere indietro il Mattarellum, bruttino e stortignaccolo com’era.

 

I limiti di questa riforma sono evidenti anche a molti dei suoi sostenitori – una riforma timida, con qualche aspetto schizofrenico, partorita in condizioni lontane dalle ideali e da un Parlamento che è quello che è. Ma mi pare tutto sommato un piccolo passo nella direzione giusta, e nessuno è riuscito finora a convincermi che sia una riforma pericolosa, autoritaria, fascista o ispirata dalle trame della finanza massonica, dalla P2 o dalla JP2. Perciò, mi vergogno quasi a dirlo, non è il merito della questione a risvegliare il vecchietto ruggente che è in me. E’ il lato politico, e anche qui, da bravo rottame, ragiono nell’ombra nera del mio secondo trauma: l’aver pensato ogni male del ceto politico della Prima Repubblica per poi ritrovarmi, anno dopo anno, a rimpiangerne sempre di più gli standard minimi di professionismo, di decenza e di stile.

 

Si sa che molti useranno il referendum per tentare di disarcionare Renzi, ossia l’unica cosa vagamente civile rimasta in piedi che abbia la possibilità concreta di vincere delle elezioni e di governare. Il principale movimento di opposizione a Renzi, quello che più conta di avvantaggiarsi dal No, è una pericolosa alleanza di cretini e di analfabeti istituzionali (non è più tempo di fingersi diplomatici). Qualunque disfunzione la riforma possa introdurre a lungo termine nel sistema (ed è tutto da vedere) non eguaglierà mai il funesto scenario che si aprirebbe, a breve termine, nell’ipotesi di una fine politica di Renzi – a destra, a sinistra e in quello strano iperspazio di idiozia gassosa abitato dai grillini. Tutto qui. Sono vecchio, più vecchio del giovane Grigorij e del vecchio Grigorij, più vecchio del caro presidente emerito, più vecchio perfino dei reduci dell’Anpi con il fazzoletto al collo. E so già cosa potrei pensare e rimpiangere tra altri vent’anni, quando sarò ancora più vecchio.

 

Guido Vitiello, giornalista, scrittore, insegna Cinema alla Sapienza di Roma, classe 1975

 

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