Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Combattere la ricchezza invece della povertà. Storia breve dei danni da salariamente corretto

Claudio Cerasa
Da Fedez a Di Maio. L’internazionale dei moralisti ha un problema con una parola non secondaria per il mondo della politica: i soldi.

C’è un filo sottile e spietato che tiene insieme alcune notizie deliziose comparse negli ultimi mesi sulle cronache dei giornali. Notizia numero uno: lo stipendio del capo di gabinetto di Virginia Raggi, 190 mila euro all’anno. Notizia numero due: i lauti stipendi dei dirigenti della Rai, con diversi manager che hanno superato il tetto simbolico dei 240 mila euro all’anno previsti per i dirigenti pubblici. Notizia numero tre: l’attico da due milioni di euro con tripla esposizione, due livelli e piscina con vista su Milano, acquistato dal cantante Fedez, idolo grillino, e mostrato gioiosamente su Instagram qualche giorno fa (molte polemiche). Notizia numero quattro: la moltiplicazione della quota di stipendio trattenuta dai parlamentari grillini, passata dai 2.500 euro al mese previsti originariamente per ogni deputato e senatore ai 5.000 euro lordi di oggi. Sono notizie diverse tra loro ma che mostrano come l’internazionale dei moralisti abbia un problema con una parola non secondaria per il mondo della politica: i soldi.

 

A voler essere sintetici si potrebbe dire che chi di anti casta ferisce di anti casta perisce e si potrebbe aggiungere che chi sceglie di avvelenare i pozzi della politica alimentando la belva anti casta non può lamentarsi poi se la belva anti casta gli azzanna i polpacci quando scopre che in realtà la casta è anche lui. Ma dietro la nuova retorica pauperistica c’è qualcosa di più anche rispetto alla solita e scellerata volontà di combattere la ricchezza più che combattere la povertà. Il neo pauperismo è la spia di un problema più profondo che si manifesta superficialmente con il disprezzo per il dio denaro e che nasconde un più generale e a volte inconfessabile odio per il dio del mercato. Detto in altre parole, il salariamente corretto oggi è lo specchio di una nuova mentalità anti capitalistica, alimentata anche dalla chiesa di Francesco, in base alla quale i neo statalisti, guidati dalla dittatura dell’egualitarismo, tagliano con un’accetta la mano invisibile del mercato scegliendo di abolire progressivamente un concetto che pure, a parole, dicono di voler difendere: il merito (tu non meriti di guadagnare quello che vali sul mercato, tu meriti di guadagnare quanto decide il pauperista collettivo). La retorica pauperistica e anti mercato ultimamente si porta molto nei talk-show e nei salotti para-grillini ma i suoi limiti rischiano di essere messi ogni giorno a nudo sia dai suoi stessi testimonial (da Fedez a Di Maio e persino da Renzi) sia dai numeri che ci dicono che i paesi in cui il pauperismo viene contenuto e in cui il mercato libero viene premiato sono quelli che se la passano meglio (leggete qui sotto gli articoli di Capone e De Romanis) e laddove il dio del mercato aperto conta di più del dio dello stato chiuso non vi è solo una maggiore circolazione di ricchezza ma vi è anche una maggiore facilità a far crescere un paese e a combattere la povertà. In un illuminante passaggio dell’enciclica “Caritas in veritate”, scritta da Benedetto XVI in piena crisi finanziaria, nel 2009, Ratzinger ricordò che “La società non deve proteggersi dal mercato” e che “il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone per soddisfare i loro bisogni e desideri”.

 

Anche Fedez siamo sicuri che dal suo attico da due milioni di euro con tripla esposizione, due livelli e piscina con vista su Milano sottoscriverebbe al volo il concetto espresso magnificamente da Benedetto XVI. E chissà che gli auto tsunami grillini non siano utili per fissare nelle nostre teste un concetto semplice: il salariamene corretto è una spia importante per capire quando ci si ritrova di fronte a una classe politica che invece di combattere la povertà sceglie di combattere la ricchezza.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.