Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il TINA non funziona più e il dopo Renzi, confuso e paraguru, esiste già

Claudio Cerasa
Serve un segnale forte e clamoroso (elezioni subito?) con l'obiettivo di fermare chi sta lavorando per trasformare il presidente del Consiglio in un gustoso arrosticino.

L’immagine ingenerosa ma efficace offerta dall’Economist – il precario pullman con i colori dell’Italia in bilico sul bordo di un precipizio – è un fotogramma che può essere letto attraverso due lenti di ingrandimento. La prima lente, quella più superficiale, ci suggerisce che quel pullman è l’Italia che rischia di finire in un burrone se non risolverà con tempismo i guai con cui si ritrovano a fare i conti le sue banche. La seconda lente, quella meno superficiale, ci suggerisce che quel pullman in bilico non è solo il sistema bancario ma è anche il governo Renzi. Finora la forza oggettiva del presidente del Consiglio, soprattutto rispetto alle cancellerie straniere, è stata quella di riuscire a sovrapporre le due lenti di ingrandimento e di far passare il messaggio che se crolla Renzi per via referendaria non crolla solo il governo ma crolla tutto il sistema paese. La carta del TINA, there is no alternative, dopo di me il diluvio, dopo di me Grillo, è una carta sensata che Renzi può continuare a spendere nei prossimi mesi.

 

Ma per la prima volta dall’inizio della campagna referendaria il partito della graticola, ovvero chi sogna di trasformare presto il presidente del Consiglio in un gustoso arrosticino, ha dalla sua un elemento di forza. Potremmo chiamarla operazione “spacchettamento Italia”, ci sta lavorando Forza Italia insieme con una parte sempre più consistente dell’apparato del Pd e funziona più o meno così: non è vero che il successo di Renzi è l’unico argine all’ascesa del grillismo ma è vero il contrario, il successo del progetto renziano (referendum più ballottaggio) costituisce il miglior viatico possibile per permettere al populismo di trionfare in Italia. E per evitare che il populismo si imponga è necessario far saltare il referendum, non per creare instabilità ma per evitare che l’Italia diventi davvero un paese instabile. Le argomentazioni possono essere discutibili (e lo sono) ma nell’èra della “post-truth politics”, dove più che i contenuti della politica contano i simboli veicolati dai politici, l’idea che Renzi possa diventare il Fassino d’Italia, come suggerito qualche giorno fa da Carlo De Benedetti, potrebbe contribuire a dare al fronte del No una connotazione non più distruttiva attraverso un messaggio chiaro: senza Renzi sarà possibile cambiare la legge elettorale, non eliminando il premio alla lista ma eliminando direttamente il ballottaggio. Anche per queste ragioni si avverte l’urgenza di una svolta da parte di Renzi, che possa permettere non solo al governo ma anche al paese di rimettere in equilibrio il pulmino tricolore.

 

La strada più naturale sarebbe quella – linea gradita anche al presidente Mattarella – di sfidare il centrodestra con una serie di idee concrete da realizzare insieme per allontanare il paese dal famoso precipizio. In teoria lo spazio ci sarebbe e in Forza Italia in molti attendono un segnale, sapendo che a prescindere da quello che sarà il destino del referendum sarà inevitabile dopo il voto sul ddl Boschi avvicinarsi al Pd (con o senza Renzi) per sfuggire all’abbraccio salviniano. Il cambio di direzione potrebbe essere questo, sul lato dei contenuti, o potrebbe essere anche l’altro suggerito dal Foglio: sfidare il partito della graticola andando subito alle elezioni e magari votando nello stesso giorno sia per le politiche sia per il referendum (i tecnici di Palazzo Chigi hanno già comunicato che volendo si può fare). Un segnale forte e clamoroso ci dovrà essere anche perché gli avversari del referendum sono disordinati, incoerenti, paraguru ma giorno dopo giorno stanno provando a far passare un messaggio che, in caso di successo mediatico, per il premier rischia di essere pericoloso: non solo il TINA non funziona ma il dopo Renzi esiste già. Tic tac.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.