Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Subito elezioni contro il partito della graticola

Claudio Cerasa
Meglio osare con l’all-in piuttosto che fare la fine dell’arrosticino. E’ un azzardo ma il piano c’è ed è questo: votare prima del referendum. Così.

Naturalmente si può continuare ad andare avanti così e farsi cuocere a fuoco lento come un arrosticino sulla inesorabile graticola del logoramento, alimentata dalla Diavolina gettata sulla brace giorno dopo giorno dai Massimo D’Alema, dagli Enrico Letta, dai Renato Brunetta, dai Romano Prodi, dalle procure politicizzate, dai giornalisti a servizio delle procure, dalle intercettazioni a servizio dei giornalisti a servizio delle procure. Si può anche liberamente decidere di accettare la trasformazione da predatore a preda e da pecora ad arrosticino. Si può decidere di far finta di nulla e di utilizzare il cacciavite cercando nuove maggioranze raccogliticce al Senato per rimettere a posto il trapano e trovare una nuova improvvisa spinta e una nuova sorprendente idea per arrivare carichi all’appuntamento con il referendum e tentare poi subito dopo la carta del voto anticipato facendo leva su una buona e robusta legge di Stabilità a base di maggiori investimenti e di minori tasse. Si può continuare ad andare avanti così, a dribblare cioè gli infortuni del governo, a non trovare le parole giuste per respingere l’assalto dei Cinque stelle, a osservare immobili l’establishment riposizionarsi sulle nuove leve della classe politica (ma quanto piace Di Maio al Corriere?), o si può decidere di sparigliare definitivamente e di ritornare a dare di nuovo le carte provando l’ultimo azzardo possibile in questa complicata mano di poker, assecondando quella che è qualcosa di più oggi di una semplice tentazione e allontanando quel governo alternativo che, giocando sull’espressione “cambiare l’Italicum”, sta prendendo forma sulla graticola del logoramento. La mossa è semplice ed è quella dell’all in: voto anticipato con questa legge elettorale, con Italicum alla Camera (doppio turno e premio di maggioranza), Consultellum al Senato (proporzionale puro con preferenze, soglia di sbarramento al 20 per cento per le coalizioni su base regionale, soglia dell’8 per cento se si corre da soli, soglia del tre per cento per i partiti che fanno parte di ciascuna coalizione) e referendum costituzionale rinviato di qualche mese. Si dirà: ma come si fa, che senso ha, Mattarella lo impedirà, il partito si spaccherà, la scissione si verificherà, la graticola trionferà, Renzi si schianterà, il paese tremerà, e si porranno molti se e molti ma e molti “diciamo”, tutti legittimi e tutti comprensibili. Si aggiungerà che l’inchiesta che ha “sfiorato” Alfano è una mezza ciofeca, che gli scissionisti di Ncd verranno rimpiazzati con altri senatori pronti ad avvicinarsi a Renzi, che questo Parlamento resisterà con tutte le sue forze al voto anticipato anche per riuscire ad arrivare al primo luglio 2017, quando dopo quattro anni, sei mesi e un giorno scatteranno le pensioni dei parlamentari, e tutto ha una sua logica lineare. L’importante però ora è scegliere il piano.

 

Il piano A, che giorno dopo giorno sembra essere sempre più complicato e avvolto dalla noia, è quello di provare ad andare avanti, di recuperare i voti persi al Senato, di difendere Alfano dall’assalto giudiziario portato da chi vorrebbe far fare a questo governo la stessa fine fatta fare a Prodi nel 2007, di rilanciare alla grande sull’economia, sul fisco, sulla spesa pubblica, di ottenere dall’Europa le chiavi per ricapitalizzare le banche con un robusto intervento dei privati e dello stato, di costruire una legge di Stabilità di buon senso e non solo finalizzata alla ricerca del consenso e di non cadere nella trappola del semestre bianco (se ci sono elezioni in vista, non si tocca nulla, non si fa nulla e al massimo si aumenta solo la spesa pubblica per non perdere elettori).

 

Il piano B è invece chiaro e comincia a prendere forma anche nel mondo renziano: smetterla di farsi abbrustolire come un arrosticino, creare la prossima settimana un incidente parlamentare per dimostrare che la maggioranza non c’è più, far votare in direzione del Pd l’indisponibilità del partito ad appoggiare qualsiasi altro governo, mettere il presidente Mattarella di fronte alla possibilità di costruire un governo di scopo solo a condizione di voler creare una scissione del Pd, rinviare a dopo le elezioni il referendum costituzionale, correre il rischio di “dover” fare una grande coalizione alla tedesca dopo le elezioni e presentarsi il 23 luglio all’assemblea nazionale del Partito democratico, già fissata, con il programma elettorale per il prossimo governo. O si superano alla grande e con un colpo di magia i veti o i veti si decide di superarli con i voti. Piuttosto che l’effetto arrosticino, meglio votare subito e sfidare il partito della graticola con l’unico strumento che la tattica non può regalare ai D’Alema, ai Letta, alle procure e ai professionisti della Diavolina: il consenso degli elettori. Naturalmente si potrà andare avanti e far finta di nulla ma quando Renzi si guarderà attorno e uscirà da Palazzo Chigi si renderà conto che l’immagine del suo governo si trova nella stessa condizione descritta magnificamente da Paul Giamatti in una scena di “Billions”: “Se vieni accusato di scoparti una capra, anche se la capra ti smentisse per gran parte della tua vita verrai ricordato solo per quello”. E’ il circo mediatico, bellezza, e tu non puoi farci niente, se non sfidarlo alle elezioni.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.