Matteo Renzi e, sullo sfondo, Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

La strategia dell'Armageddon non s'addice a Renzi e al Cav.

Claudio Cerasa
Il premier e il no al referendum. Berlusconi e il no a Grillo. Non voler regalare il paese al M5s è possibile solo intestandosi direttamente il cambiamento dello status quo, non cavalcando la paura.

La domanda, forte e robusta, è lì che si aggira come uno spettro minaccioso e riguarda tutti i campi da gioco della politica. Lo abbiamo visto nel Regno Unito con la Brexit. Lo abbiamo visto in Grecia con il referendum. Lo stiamo vedendo negli Stati Uniti con Trump. Lo stiamo osservando in Italia con il voto sulle riforme costituzionali. Problema semplice: con le forze anti sistema che stanno guadagnando terreno su vari fronti, siamo sicuri che il modo migliore per affrontare questi movimenti sia giocare la carta della paura e puntare forte sul fatto che la vittoria dei nostri avversari coincida necessariamente con l’arrivo di uno straordinario Armageddon planetario? La strategia dell’Armageddon, del giudizio finale, dell’Apocalisse immaginaria, non ha funzionato nel referendum in Grecia, non ha funzionato in quello in Gran Bretagna, non sta funzionando negli Stati Uniti e non funzionerà neanche in Italia, se il messaggio che il presidente del Consiglio continuerà a veicolare in vista dell’appuntamento di ottobre sarà uno e soltanto uno: dopo di me, il diluvio; senza fine del bicameralismo, i barbari; senza referendum, moriremo tutti.

 

La retorica dell’Apocalisse funziona se accanto all’immagine dell’Armageddon si sviluppa un’altra immagine positiva (vedi le europee del 2014) ed è proprio questa oggi la grande difficoltà di Renzi: non riuscire a trovare una chiave narrativa diversa da quella del “se non vince il referendum moriremo tutti” capace di motivare con forza il sonnecchiante popolo del sì. Renzi non può vincere il referendum facendo leva sulla paura – può vincerlo invece facendo leva sulla necessaria rimozione dello status quo. E allo stesso modo il centrodestra non può illudersi che sia sufficiente invocare la paura – aiuto, vince Grillo, moriremo tutti – per giustificare la scelta di non appoggiare la riforma costituzionale (la Stampa di ieri). Può piacere o no, ma Berlusconi, patto o non patto, è legato a doppio filo con Renzi. Una vittoria del sì a ottobre permetterebbe al sistema di proiettarsi sul modello Milano (la politica uccide i populismi autoriformandosi), creerebbe le condizioni per una competizione vera tra forze di governo (dunque, anche per Berlusconi) e segnerebbe una sconfitta importante per tutti coloro che a vario titolo stanno ingrossando la gioiosa macchina da guerra del partito dello status quo (D’Alema, Brunetta, Travaglio, Casaleggio, Md e Associati). Viceversa una vittoria del no al referendum di ottobre segnerebbe una sconfitta definitiva per tutte le forze che si considerano non anti sistema ma semplicemente di governo (dunque, anche per Berlusconi) e in quel contesto l’unica forza che avrebbe una sua credibilità nel diventare il primo azionista del partito del “Forza No” sarebbe il Movimento 5 stelle e non come crede qualche sciocco del centrodestra un suo possibile clone salviniano.

 

Non voler regalare il paese a Grillo è un sentimento legittimo ma è una condizione che si crea intestandosi direttamente il cambiamento dello status quo, non cavalcando la paura o invocando l’Armageddon. Vale per Renzi e vale anche per Berlusconi. I due potranno anche non piacersi più come un tempo e potranno far finta di ignorare che hanno un disperato bisogno l’uno dell’altro (specie in una fase caotica come quella vissuta in queste ore soprattutto nel Pd). Ma se a ottobre vincerà la linea D’Alema, Brunetta, Travaglio, Casaleggio, Md e Associati, i gemelli del gol diventeranno gemelli dell’autogol. E per questo, se Berlusconi non vuole regalare il paese a Grillo, deve augurarsi che a ottobre vinca un partito che Berlusconi dovrebbe conoscere bene: il partito del Forza Sì, da sempre alternativo al partito dei professionisti del no. Non è vero, caro Cav.?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.