Matteo Renzi (foto La Presse)

Referendum sulla stabilità, non su Renzi

Claudio Cerasa
Da un referendum all’altro. Due giorni fa  Bloomberg ha ricordato che, esattamente tra 98 giorni, l’Europa dovrà affrontare un altro referendum importante che avrà un impatto non solo sul paese che lo ospiterà, l’Italia, ma anche sul resto del continente.

Da un referendum all’altro. Due giorni fa  Bloomberg ha ricordato che, esattamente tra 98 giorni, l’Europa dovrà affrontare un altro referendum importante che avrà un impatto non solo sul paese che lo ospiterà, l’Italia, ma anche sul resto del continente. Il referendum è quello sulla riforma costituzionale e alla luce del risultato inglese la partita di ottobre è destinata ad assumere un carattere diverso rispetto a quello osservato oggi: non più un referendum sul presidente del Consiglio ma un referendum sulla stabilità dell’Italia. La tempesta perfetta dentro la quale si trova l’Europa, tra flussi migratori in aumento, rischio terrorismo, instabilità dei mercati, fragilità delle banche, incertezza sul debito, pulsioni anti sistema, economia in stallo e un Regno Unito condannato all’incertezza (a Londra la Borsa ieri ha retto, meno 3 per cento, ma le grandi aziende internazionali rallenteranno la propria produzione fino a quando non verranno chiarite le modalità di uscita dall’Unione europea) è destinata a essere qualcosa in più di una nuvola passeggera. Non è un caso che le due Borse che ieri hanno fatto segnare il crollo più significativo dei propri titoli siano state quella spagnola (Madrid -12 per cento) e quella italiana (Milano -12,48). Spagna e Italia (oltre alla Grecia, crollata a -15 per cento) sono due paesi a rischio non per questioni legate soltanto al loro debito pubblico ma per questioni legate alla governabilità dei due paesi.

 

In Spagna le elezioni di domenica potrebbero consegnare all’Europa un paese instabile e l’opzione di un non governo o di un exploit di Podemos rischia di costituire una combinazione pericolosa. In Italia, sempre seguendo questo filo, la partita del referendum viene considerata dalle principali cancellerie europee un appuntamento cruciale per capire quale sarà da molti punti di vista il destino del nostro paese. Sul fronte europeo, per evitare che le conseguenze della Brexit possano pesare sui paesi fragili, da una parte ci sarà la Bce che si muoverà per assicurare condizioni di mercato caratterizzate da una costante presenza di liquidità e dall’altra parte ci sarà la Commissione europea che interpreterà in modo meno restrittivo le regole bancarie sul bail-in. Tutto questo però, almeno nel breve termine, non sarà sufficiente per evitare uno smottamento del sistema italiano se non verranno sommati due elementi importanti: un intervento da parte di Renzi per mettere al sicuro le banche attraverso un rafforzamento della legge sui crediti deteriorati e una presa di coscienza da parte delle forze di governo di una necessaria convergenza per scongiurare uno stallo che si potrebbe creare in caso di flop referendario. Il referendum inglese e quello italiano hanno molti punti in comune (non ultimo il fatto che il grado di mobilitazione sul no sembra essere più forte rispetto a quello che esiste sul sì) ma al contrario del caso inglese vi è una differenza importante tra i due referendum legata al fronte che si oppone alla posizione governativa. L’instabilità nasce anche da qui. David Cameron, ieri, si è dimesso dopo aver perso la battaglia e lo stesso capiterebbe a Renzi qualora dovesse perdere a ottobre.

 

Ma se nel Regno Unito esiste un leader che guiderà con un suo progetto il partito del “no”, Boris Johnson, in Italia la situazione è diversa. Tutti i politici che guidano il fronte del no si considerano a vario titolo portabandiera del plotone anti renziano. Ma una sconfitta di Renzi al referendum, è il ragionamento che si fa in molte cancellerie europee, coinciderebbe non con una vittoria di D’Alema, di Berlusconi o di Salvini ma con una vittoria del partito che oggi viene percepito come più alternativo a Renzi: il Movimento 5 stelle. Il renzicidio è una tattica rischiosa e spericolata che nel breve termine potrebbe far tirare un sospiro di sollievo a molti politici rottamati ma sul lungo termine rischia di consegnare il paese non a un leader anti sistema facente parte di un partito di sistema (Johnson è dei Tory) ma a una forza anti sistema guidata da un leader che vuole far saltare il sistema (Grillo). Immaginare convergenze in una fase caotica come questa è complicato. Ma Renzi, forse, dovrebbe usare i prossimi giorni per ragionarci su e valutare se sia possibile o no, per garantire stabilità al paese, tornare al punto di partenza, allargando cioè la maggioranza di governo all’unica forza con cui può provare a riformare il paese: il centrodestra. Il presidente del Consiglio può rischiare di andare da solo e di far finta di nulla, certo. Ma prima o poi si renderà conto che il contesto politico è cambiato: ieri il referendum bisognava solo non perderlo, oggi bisogna provare a vincerlo. La stabilità dell’Italia, e dell’Europa, oggi passa anche da qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.