Un'idea per i sindaci: l'urbanistica non può fare a meno della concorrenza

Francesco Karrer
Il tema centrale è soprattutto l’applicazione della concorrenzialità sia per gli interventi di trasformazione urbana sia per la realizzazione delle opere pubbliche.

Al direttore - La campagna elettorale a Roma ha fatto scaldare gli animi, con effetti non solo sulla carta stampata, ma anche su quella bollata. Da un lato l’ingegnere Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica in pectore del M5s, sul Manifesto ha dichiarato di essere stato querelato dall’industriale Francesco Gaetano Caltagirone per l’accusa di presunta illegittimità nell’eventuale realizzazione del villaggio per le Olimpiadi del 2024 nelle aree dell’Università di Tor Vergata. Ente che intrattiene un vecchio contratto di “concessione di committenza” con un gruppo di imprese di cui fa parte anche la Vianini, di proprietà appunto di Caltagirone. Dall’altro lato, su tutti i principali quotidiani, Mauro Baldissoni, direttore generale della società sportiva Roma, quantifica in 60 milioni di euro i danni che sarebbero causati da un eventuale veto posto dal nuovo Sindaco, sulla realizzazione dello stadio di Tor di Valle. Il tema centrale non è solo il vecchio, irrisolto problema dell’urbanistica contemporanea, ovvero l’opportunità e la legittimità di varianti puntuali allo strumento urbanistico vigente, ma soprattutto l’applicazione della concorrenzialità sia per gli interventi di trasformazione urbana sia per la realizzazione delle opere pubbliche.

 

Come si forma l’esigenza di variare uno strumento urbanistico lì o là? Come si esercita e si rispetta il principio di contemperazione di tutti gli interessi in gioco? Come si valutano le conseguenze generali ed economiche delle varianti? In specie oggi, quando il principio di concorrenza dovrebbe essere applicato, malgrado l’indifferenza di amministratori e tecnici, anche all’urbanistica? Il caso del nuovo stadio della A.S. Roma è esemplare. Proposto originariamente da un gruppo imprenditoriale e dalla società sportiva, è diventato di pubblico interesse con una delibera del dicembre 2014, figlia dell’urbanistica “emozionale” della giunta Marino. A prescindere dalla valutazione che tale circostanza possa determinare il diritto di poter rivendicare un danno economico così ingente per le sole spese di progettazione, i nodi principali sono altri. Chi contesta la realizzazione dello stadio, contesta in realtà due cose: perché lì lo stadio e perché lì i grattacieli progettati da Libenskind? Lo stadio è lì per volontà del promotore, in un’area con destinazione urbanistica (ex ippodromo) conforme alla realizzazione del nuovo impianto sportivo, lo stadio. La risposta sul perché lì i grattacieli, è più complessa.

 

La loro realizzazione è concessa dal comune al promotore al fine di poter finanziare le opere pubbliche, per oltre 300 milioni, ritenute necessarie dal comune stesso per la funzionalità dello stadio. Tali opere sono poste a carico del privato in base a una norma compensativa presente nel piano regolatore vigente che prevede che i 2/3 del valore economico di una variante urbanistica vadano a vantaggio del comune stesso. Ovvero il valore della trasformazione urbanistica si ripartisce: 1/3 al privato, 2/3 al Comune. Con questi 2/3 si realizzano le opere pubbliche, ma il meccanismo ritenuto virtuoso da gran parte “dell’urbanistica riformista” genera due paradossi. Primo, l’imprenditore “di maggioranza” nell’operazione è il comune e non il promotore. In secondo luogo, i grattacieli sono lì perché quello è il modo di finanziare le opere pubbliche necessarie per realizzare lì lo stadio! Altra questione aperta è, perché per le opere pubbliche il promotore non applica il codice degli appalti, mettendo sia la progettazione che i lavori in gara? Per evitare ciò sarebbe anche impossibile il ricorso al controverso art.20 del nuovo codice dei contratti, inapplicabile retroattivamente.

 

In conclusione: perché allora realizzare lì stadio, grattacieli e opere pubbliche invece che da un’altra parte? La risposta la dovrà dare il nuovo Sindaco che non potrà fare a meno di mettere in gioco un’urbanistica moderna. Un’urbanistica per operazioni di recupero e trasformazione che, all’interno di una chiara strategia territoriale, contemperi non solo gli interessi privati con quelli pubblici (distinguendone i ruoli), ma anche gli interessi tra privati. Solo con l’applicazione, finalmente anche in questo settore, del principio di concorrenza, si potranno mettere in competizione le proposte imprenditoriali e dare una risposta alla domanda “perché lì e non là” e implicitamente quando e come.

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