Piercamillo Davigo al Convegno su "Giustizia e legalità" organizzato da Anm (foto LaPresse)

Il caso Davigo o la nostalgia di Tangentopoli

Redazione
"I politici non hanno smesso di rubare, ma di vergognarsi". Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati va alla guerra. Chi lo seguirà?

Sul biglietto da visita di Piercamillo Davigo c’è scritto «Il sì sia sì, il no sia no» (citazione dal Vangelo, Matteo 5, 27: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno») [1].

 

Piercamillo Davigo è un magistrato, già nel pool di Mani Pulite, consigliere presso la Cassazione, da quindici giorni presidente dell’Associazione nazionale magistrati [2].

 

Nell’ultima settimana Davigo ha fatto parlare molto di sé perché ha rilasciato diverse interviste in cui ha usato toni molto polemici riguardo la politica e i politici [3].

 

Lo scorso martedì, ospite di Giovanni Floris a diMartedì, Davigo ha detto che «nessuno viene messo dentro per farlo parlare; viene messo fuori se parla». Venerdì è uscita una sua dura intervista sul Corriere della Sera, in cui fra le altre cose ha spiegato che i politici «non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto». La sera di venerdì ha parlato all’università di Pisa: «Dire che i magistrati devono parlare solo con le loro sentenze equivale a dire che devono stare zitti» [3].

 

Ha anche concesso una lunga intervista a Marco Travaglio, in cui ha detto: «Se il mio vicino di casa è rinviato a giudizio per pedofilia, io mia figlia di sei anni non gliel’affido quando vado a far la spesa. Poi, se verrà scagionato, si vedrà». E ancora, a proposito delle differenze tra il governo Renzi e quelli precedenti: «Qualche differenza di linguaggio, ma niente di più: nella sostanza, una certa allergia al controllo di legalità accomuna un po’ tutti» [4].

 

Filippo Facci: «Fu sempre durissimo, Davigo. Per molti resta quello che dopo il suicidio del parlamentare Sergio Moroni disse che “le conseguenze dei delitti devono ricadere su chi li ha commessi, non su chi li ha scoperti”» [5].

 

Gianluca Di Feo: «Due settimane fa, la sua nomina al vertice dell’Associazione nazionale magistrati, il “sindacato” della categoria, è stata una sorpresa: solo un anno fa Davigo ha lasciato la corrente moderata, a cui era iscritto dal 1978, denunciando la prevalenza di “una sudditanza dalla politica”. E la scelta dell’intera Anm di eleggerlo alla presidenza è apparsa subito come un messaggio chiaro al governo Renzi: la manifestazione di un malessere diffuso verso le esternazioni del premier. Con l’intervista al Corriere quel segnale ora rischia di trasformarsi in una dichiarazione di guerra» [6].

 

In particolare, nell’intervista ad Aldo Cazzullo, Davigo ha rivendicato alcune sue vecchie frasi come «Non esistono innocenti; esistono solo colpevoli non ancora scoperti» e «Non ci sono troppi prigionieri; ci sono troppe poche prigioni». Ha poi criticato diffusamente l’operato della politica nel campo della giustizia:
Fu Berlusconi a fermarvi?
«Cominciò Berlusconi, con il decreto Biondi; ma nell’alternanza tra i due schieramenti, l’unica differenza fu che la destra le fece così grosse e così male che non hanno funzionato; la sinistra le fece in modo mirato. Non dico che ci abbiano messi in ginocchio; ma un po’ genuflessi sì». [...]
Con Renzi come va?
«Questo governo fa le stesse cose. Aumenta le soglie di rilevanza penale. Aumenta la circolazione dei contanti, con la scusa risibile che i pensionati non hanno dimestichezza con le carte di credito; ma lei ha mai visto un pensionato che gira con tremila euro in tasca?».
Renzi ricorda di aver aumentato le pene e di conseguenza la prescrizione per i corrotti.
«Ma prendere i corrotti è difficilissimo. Nessuno li denuncia, perché tutti hanno interesse al silenzio: per questo sarei favorevole alla non punibilità del primo che parla. Il punto non è aumentare le pene; è scoprire i reati. Anche con operazioni sotto copertura, come si fa con i trafficanti di droga o di materiale pedopornografico: mandando i poliziotti a offrire denaro ai politici, e arrestando chi accetta. Lo diceva anche Cantone; anche se ora ha smesso di dirlo» [2].

 

Raffaele Cantone ha risposto alle parole di Davigo con un’intervista, sempre a Cazzullo: «L’idea che tutto si risolva con le manette è stata smentita dai fatti. La repressione da sola non funziona. Colpisce ex post; spesso in modo casuale; sempre quando i danni sono già fatti. La prevenzione ha tempi più lenti. Ma nei Paesi del Nord Europa, dove la corruzione è bassissima, ha funzionato» [7].

 

Ancora Cantone: «Molto spesso la magistratura non riesce a dare risposte ai cittadini, perché è sovraccaricata di compiti non suoi. Si pensa che debba occuparsi soprattutto dei grandi temi, e un po’ meno del senso di giustizia individuale. Sul piano dei tempi e della prescrizione la risposta è insufficiente. Non a caso Ilvo Diamanti sostiene che la magistratura negli ultimi anni ha perso oltre il 20% della sua credibilità, passando dal 70% a sotto il 50. La magistratura ha meriti eccezionali; ma sarebbe scorretto non evidenziare che certi meccanismi organizzativi non funzionano» [7].

 

Insomma, secondo Davigo si ruba addirittura più di prima. Ma è proprio così? Ugo Magri: «Nel 2012, i parlamentari con problemi di giustizia erano 117, soprattutto berlusconiani; oggi se ne contano un’ottantina, solo in parte per reati che riguardano il patrimonio. Lo scandalo Mose ha incastrato Galan, il quale era stato ministro. Un altro ex ministro, Scajola, ha fatto parlare di sé per la casa acquistata a sua insaputa, ma l’hanno assolto. Lusi, tesoriere della Margherita, si impadronì della cassa e venne scoperto. Milanese, aiutante del ministro Tremonti, è sotto processo... Le cronache giudiziarie sono ricche di casi, sì, però molto più a livello locale che centrale. Grillo ne ha contati 22 del Pd durante il 2015. Pure qualche grillino è finito nei guai, uno addirittura mentre trafugava un portafogli. Se Davigo intende dire che la politica rimane ad altissimo rischio, impossibile dargli torto. Idem se si riferisce al livello morale degli italiani. Ma se si fa un raffronto con Tangentopoli, alcune differenze balzano agli occhi» [8].

 

Travaglio, invece, la vede così: «Com’era ampiamente prevedibile, l’elezione di Piercamillo Davigo al vertice dell’Anm ha subito fatto saltare i nervi alla classe politica, specie di quella governativa. Il prestigio che deriva dalla sua storia, il linguaggio franco e tagliente, la capacità di sintetizzare i disastri della politica giudiziaria dei governi con battute comprensibili a tutti senza paraculaggini, sono peccati mortali nel Paese di Tartuffe. Del resto ciò che Davigo dice da anni e ripete ora lo sanno tutti: i politici rubano più di prima, ma hanno smesso di vergognarsi, anzi rivendicano ciò che prima facevano di nascosto, quindi si guardano bene dal varare riforme efficaci per scoperchiare e combattere il malaffare» [9].

 

Quanti magistrati condividono la linea di Davigo? «Non è il momento di alimentare un inutile scontro fra politica e magistratura, il conflitto fa notizia ma noi dobbiamo evitare di essere portati su questo terreno», ha commentato Luca Palamara, che dell’Anm è stato presidente [10]. Per Edmondo Bruti Liberati, ex procuratore capo di Milano, ex membro del Csm, per anni all’Associazione nazionale magistrati, «non esiste una magistratura buona contro un’Italia di cattivi, vederla così è in linea di principio sbagliato, e inoltre si scontra con la realtà» [11].

 

Giovanni Bianconi: «Tra le rare dichiarazioni di solidarietà e di sostegno a Davigo giunte dai palazzi della politica spiccano quelle di Di Maio e Salvini, cioè Cinque stelle e Lega: un particolare che allarma chi paventa l’idea che l’Anm si ritrovi – strumentalmente o meno – al fianco delle opposizioni più rumorose al governo Renzi» [10].

 

Valentina Errante: «La lettura politica è univoca, e arriva soprattutto da sinistra: quelle esternazioni di Davigo servono ad alimentare il malcontento diffuso proprio nella base della magistratura, per le misure non del tutto “friendly” del governo nei confronti della categoria: dalla diminuzione delle ferie alla legge sulla responsabilità civile. Faccende corporative. Con un obiettivo specifico da parte del presidente: prolungare un mandato che prevedrebbe le dimissioni tra un anno» [12].

 

Di Feo: «Anche sul fronte più caldo, quello delle intercettazioni, il modello evocato da Palazzo Chigi sono le forme di autoregolamentazione volute da procuratori di primo piano come Giuseppe Pignatone e Armando Spataro. E il ministro Andrea Orlando si è dimostrato un interlocutore aperto al dialogo e attento alle istanze delle toghe. Certo, la magistratura sta vivendo un momento senza precedenti, con un ricambio di massa ai vertici degli uffici giudiziari provocato dai nuovi limiti d’età, forse l’unica vera rottamazione introdotta dal governo. Ma il sentimento dominante tra le toghe sembra essere soprattutto la delusione per le promesse non mantenute dall’esecutivo, a partire dalla riforma della prescrizione insabbiata nei meandri del Parlamento» [6].

 

L’ambasciatore americano John Phillips ha detto che i guai della giustizia italiana scoraggiano gli investitori stranieri. Michele Ainis: «Ed è un delitto, perché il clima di scontro che si respira nuovamente in questi giorni rischia d’annullare i progressi – certo ancora timidi, episodici, parziali – del lumacone giudiziario. C’è infatti la lieta novella dei tribunali delle imprese, che nel 70% dei casi decidono in meno di un anno. Calano le pendenze civili: da 5,9 milioni di procedimenti nel 2009 a 4,5 milioni l’anno scorso. Dimagrisce il contenzioso davanti alla Corte di Strasburgo, anche se l’Italia resta pur sempre il quarto Paese per numero di ricorsi. E il Consiglio d’Europa promuove le riforme fin qui varate dal governo per accorciare i tempi processuali. Ma l’orologio dei nostri tribunali rimane comunque un orologio rotto: 8 anni per i giudizi civili, oltre 5 per quelli penali. Da qui le 130mila prescrizioni che si contano ogni capodanno, altrettanti delitti senza castigo» [13].

 

(a cura di Luca D’Ammando)

 

Note: [1] Mario Ajello, Il Messaggero 11/4; [2] Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 22/4; [3] il Post 23/4; [4] Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 20/4; [5] Filippo Facci, Libero 18/4; [6] Gianluca Di Feo, la Repubblica 23/4; [7] Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 23/4; [8] Ugo Magri, lastampa.it 23/4; [9] Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 23/4; [10] Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 23/4; [11] Piero Colaprico, la Repubblica 23/4; [12] Valentina Errante, Il Messaggero 23/4; [13] Michele Ainis, Corriere della Sera 23/4.