Il caso Livorno, il M5s e il Pd che gioca a “onestà vs onestà”

Marianna Rizzini
Scambi di frecciatine tra grillini e democratici a colpi di hastag e di rap

Roma. Succede a Livorno: un assessore  del M5s, Gianni Lemmetti, riceve un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta su Aamps Spa, l’azienda dei rifiuti partecipata dal Comune. L’assessore non si dimette, il M5s risponde con un “non conosciamo ancora le contestazioni specifiche…sembra essere stato fatto tutto in buona fede”. E quando qualcuno degli avversari politici chiede “ma voi non eravate quelli inflessibili sempre e comunque?”, il M5s risponde: “Le regole del Movimento parlano di rinvio a giudizio e non di avvisi di garanzia” per eventuali espulsioni (se poi Lemmetti risulterà responsabile si vedrà, è il concetto). E fin qui verrebbe da dire: benvenuti nel mondo del garantismo minimo. Solo che c’è modo e modo di dirlo, e può capitare che, facendo notare le altrui aporie, ci si adegui (inconsapevolmente?) allo spirito giustizialista dei tempi.

 

Dal Pd, infatti, ieri, prima del discorso di Matteo Renzi in Senato (in cui il premier correggeva la rotta dei suoi: “Non chiederemo dimissioni” perché “un avviso di garanzia non è mai condanna”), giungevano varie “precisazioni” sul tema, tutte tese a punzecchiare i Cinque stelle che applicano due pesi e due misure (della serie: gli altri sono sempre da mandare a casa al minimo sospetto; i politici grillini da valutare caso per caso). E per carità: anche nel caso Quarto, tre mesi fa, con il sindaco Rosa Capuozzo sulla graticola (con paginate di intercettazioni), c’era stato un momento di titubanza e accenno di “doppia morale” nel grillismo che a ogni intercettazione pretende l’allontanamento dalla carica: la difendiamo comunque?, la molliamo?, ci si domandava nel M5s, decidendo infine di mollarla, ma dopo averla difesa dal blog del capo (e il sindaco prima si dimetteva, poi ritirava le dimissioni).

 

E però ieri, dal Pd, arrivava anche un hashtag che faceva il verso al celebre slogan “onestà-onestà” delle piazze a Cinque stelle, ma paradossalmente in senso più giustizialista dell’originale: su Twitter spuntava cioè quell’“#omertàomertà” che faceva sobbalzare chi, nel Pd e non, pensa che il garantismo non possa permettersi sdoppiamenti identitari alla “Grillo vs Grillo”, come da titolo dello spettacolo del comico tornato comico che in scena parla del conflitto interiore con il se stesso politico: gridare “omertà-omertà” rischia di essere la via più diretta per farsi dettare l’agenda da chi grida “onestà-onestà”. Il responsabile Giustizia pd, David Ermini, si limitava a ricordare che Luigi Di Maio, nel dicembre 2015, aveva detto a “Libero” di “non essere a favore della presunzione d’innocenza per i politici”, convinto che “se uno è indagato, deve lasciare”, frase in contrasto, scriveva Ermini, con la “nuova teoria a Cinque stelle del ‘si valuta caso per caso’”. E però ieri il grido “omertà-omertà” – lessico preso a prestito dal vocabolario dell’indignazione un tanto al chilo – si propagava già per il web attraverso il passaparola dem, e restituiva un’immagine opposta a quella che si voleva veicolare: invece di sembrare il partito che attende le sentenze prima di condannare, si rischiava di apparire più grillini dei grillini.

 

I quali, intanto, si erano mostrati non proprio campioni di presunzione di innocenza in Lombardia, protestando per il possibile ritorno in Consiglio regionale di Mario Mantovani, ex vicepresidente della Regione, tornato libero alla scadenza della custodia cautelare (il processo comincia l’8 giugno). Sempre a Milano (e on line), ieri veniva diffuso l’inno-rap a Cinque Stelle per le amministrative, scritto da Simone Abbruzzi in puro stile “onestà-onestà”. Ritornello: “Questa è la Milano che non se la beve/ corruzione e inquinamento hanno vita breve/ Questa è la Milano e ne vedremo delle belle. Fanculo ai vostri manager/ voto Movimento 5 stelle”. Intanto, in vista del voto di fiducia, Grillo arringava la truppa con uno “sfiduciamoli tutti”, a partire dallo “scandalo Trivellopoli”. Resta la domanda: ma conviene al Pd giocare al gioco mediatico “onestà vs onestà”?

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.