Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Dietro le nevrosi del centrodestra

Salvatore Merlo
Lega e Fratelli d’Italia, e insomma Matteo Salvini e Giorgia Meloni, si stringono dolcemente l’uno all’altra, come due componenti dello stesso veleno, e mandano a gambe per aria Guido Bertolaso a Roma e Stefano Parisi a Milano. Possibile? Sì, no, forse, chissà.

Roma. Lega e Fratelli d’Italia, e insomma Matteo Salvini e Giorgia Meloni, si stringono dolcemente l’uno all’altra, come due componenti dello stesso veleno, e mandano a gambe per aria Guido Bertolaso a Roma e Stefano Parisi a Milano. Possibile? Sì, no, forse, chissà. “Se Meloni si candida in nome di tutto il centrodestra, io tirerò le conclusioni di questa sua decisione”, dice Bertolaso. E così, tra allarmi, imbonimenti, opposti richiami, nitriti d’apocalisse, infinite acrobazie ed evidenti nevrosi non si capisce più niente. Se non ci fossero le elezioni di mezzo, se non ci fosse da votare il sindaco di Roma e quello di Milano, forse le parole gettate con spensieratezza negli ultimi mesi (e nelle ultime ore) da Meloni e da Salvini, tra indecisioni, furbizie e tendenze fratricide, potrebbero comporre un caso interessante di psicopatologia politica.

 

“Presidente, c’è Giorgia Meloni al telefono”, gli hanno annunciato l’altro giorno. E lui, il Cavaliere, come mormorando un mezzo scongiuro tra i denti, con un’intensa espressione di sconforto e la mano sulla fronte disperata: “Oddio, no, basta. Vi prego. Ditele che sto facendo la pennichella!”. E questa è la versione meno colorita di una scenetta il cui senso politico viene così sintetizzato da Maurizio Gasparri, in termini forse non eleganti, ma che pure rendono bene l’idea: “Come posso spiegare la situazione? Diciamo che… che… Guardi, Berlusconi si è proprio rotto le palle”. Meccanismi misteriosi, impulsi di cui nulla sa l’etologo, il politologo (o lo psicologo) determinano intorno al Cavaliere repentini cambiamenti di rotta che sembrano comporre la scena di un suicidio teatrale non privo di una sua dionisiaca grandezza. Il lettore si tenga forte, e se non capisce non si preoccupi, non è l’unico: la Lega quasi non esiste a Roma e Fratelli d’Italia quasi non esiste a Milano, e mentre Salvini simpatizza per quell’Alfio Marchini che a Roma la signora Meloni definisce “comunista”, entrambi sono d’accordo nel bocciare la candidatura di Bertolaso (che pure prima a Meloni piaceva ma adesso non le piace più). Dunque, mentre Meloni si candida, poi non si candida più, e infine forse si candida di nuovo ma anche no (“Ci scommetto: sta cambiando ancora idea”, rideva ieri sera con gli amici Antonio Tajani, gerarca romano di Forza Italia), lei e Salvini si telefonano, si corteggiano, ma in realtà non si mettono d’accordo (“Meloni decida”, “Salvini si chiarisca le idee”), anzi spesso litigano, innervosiscono (o annoiano) Berlusconi e fanno preoccupare il vecchio Maroni, che ha sempre un occhio speciale per la roba: “Attenti, mentre giocate con Roma, a non far saltare Milano: Parisi è una candidatura solida, può vincere”.

 

E quella che si avverte nell’aria è una generale inquietudine che tuttavia si fatica a rendere in termini se non politici quantomeno comprensibili, razionali. Berlusconi fa capire che sosterrà Bertolaso comunque vada, Salvini non vuole l’ex capo della Protezione civile perché non ha indossato la felpa con la Ruspa, mentre Meloni, infine, rimbalza intorno alle elezioni romane come una pallina da ping-pong sfuggiti ai giocatori. La novità dell’ultimo istante è infatti che la signora Meloni non sarebbe più così sicura di candidarsi a sindaco – di nuovo. A meno che Salvini non la rassicuri. E insomma, dopo aver, nell’ordine: rifiutato la propria candidatura, rifiutato quella di Marchini, promosso nello spazio di 24 ore i nomi improbabili di Rita Dalla Chiesa e Fabio Rampelli, promosso la candidatura di Bertolaso (con selfie) e rifiutato la candidatura di Bertolaso, promosso la propria discesa in campo; adesso Meloni sembra aver iniziato una mezza ritirata, ma alla spagnola, seguendo cioè la tecnica del cauto rinculare, come volesse sparire in una nuvoletta di fumo facendo dimenticare gli eventi rocamboleschi delle ultime quarantotto ore. Ma chi ci capisce niente. “Il problema è che la ragazza ha un’errata cognizione di sé”, osserva Andrea Augello, sostenitore di Marchini: “Parla con la sicumera di un grande leader al quale, se si volesse candidare, non si potrebbe dire di no. Ma le cose non stanno precisamente così”: Fratelli d’Italia oscilla tra il 7 e il 9 per cento, ma solo a Roma. E la Lega? Maroni non vuole rischiare Milano per un’inutile battaglia capitolina. Salvini? Ancora non sa. E si attendono nuove capriole.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.