Il talk a menù fisso

Salvatore Merlo
“Gli ospiti te li dico io”. Lo fa Grillo, lo fanno tutti. I salotti tv e le regole di ingaggio. Segreti e comiche

Roma. Le trattative sono estenuanti, e la frase totem del portavoce medio è: “Sì, però viene da solo”. Oppure: “Sì va bene, ma chi altro c’è?… no quello no, eh. Perché non inviti quest’altro? E che servizi mandate in onda? E ci sono giornalisti? Senti, se vuoi il ministro, la prossima volta però devi prenderti anche Alessia Rotta”. E per molti mesi, prima che si riabbracciassero con Berlusconi, quelli di Forza Italia non andavano in televisione se c’era Giorgia Meloni, mentre ai deputati del Pd è ancora proibito di farsi invitare se nella poltroncina accanto, a “Porta a Porta”, a “Matrix”, a “Omnibus”, o a “Ballarò”, c’è Pippo Civati, o se invece per caso ci sono “quelli della minoranza”, ma quelli cattivi di Bersani e Cuperlo non quelli un po’ meno cattivi di Maurizio Martina. E certo è politica, calcolo d’opportunità, talvolta umore, antipatia personale, persino insicurezza (ci fu quella volta che Matteo Colaninno quasi tremava sul suo trespolo di talk-show: “Oddio, se vado male non mi mandano più in televisione”. “Ma guarda che mica ti mandano quelli del Pd, ti abbiamo chiamato noi!”. “Ma davvero?”). E allora il buon conduttore deve rimanere impassibile, muto, cieco, sordo, indifferente; deve saper rispondere, soprattutto deve dribblare. Altrimenti come può difendersi? “Se gli dai un dito si prendono un braccio”, dice Luca Telese, il conduttore di “Matrix”, mentre Gianluigi Paragone, conduttore della “Gabbia”, dice che “io li mando a quel paese quando vogliono imporre qualcosa, l’ho già fatto con Rocco Casalino, il portavoce dei 5 stelle. Ma fanno così pure i giornalisti. Non vengono? E chi se ne frega”.

 

Ognuno ha le proprie preferenze, fissazioni, inimicizie e amicizie più o meno balneari, le debolezze, le manie di grandezza e di comando. Una volta Matteo Salvini accettò di farsi invitare a “Ballarò”, ma solo se avessero fatto slittare un’intervista al vecchio Bossi che un po’ lo sfotticchiava: “Ancora deve crescere”. E quando Giorgio Gori qualche anno fa convinse Matteo Renzi ad andare da Corrado Formigli a “Piazza Pulita”, che era prodotta dalla sua Magnolia (“guarda, Matteo, ti assicuro: è come se fosse casa mia”), alla fine Renzi s’imbestialì mandando tutti al diavolo, compreso il povero Gori, perché senza dirglielo gli avevano fatto trovare un imprenditore emiliano – era subito dopo il terremoto del 2012 – che aveva detto: “Mi sento abbandonato dal mio partito”. Quella volta c’era anche un ironico servizio di Diego Bianchi, in arte Zoro, e anche di questo servizio a Renzi non avevano detto niente. Del resto i politici sono pure un filo permalosi, nemici dell’umorismo, a parte quello che fanno loro senza accorgersene guardandosi allo specchio. Esempio: una volta Sandro Bondi, quando ancora era Sandro Bondi, disse a Telese che sarebbe andato a “Matrix”, “ma se vengo io viene anche mia moglie. Dottore, le assicuro, vedrà che è bravissima, e ha bisogno di visibilità”. E la cosa diventa persino oppressiva in Rai, dove vige la regola della par condicio, del Cencelli, e dove i capistruttura marcano stretto conduttori e direttori, tanto più adesso che sono tutti in attesa delle nuove nomine. Sono così occupati (e preoccupati) a tenersi in piedi, che trascurano spesso ogni altra mansione o pensiero diurno e notturno.

 

E insomma il conduttore di oggi più che ricercare, esaminare, spulciare, analizzare, scoprire e commentare, soprattutto subisce, trattiene nel gozzo, si barcamena come può in un universo di marionette caricate a molla. Quando l’estate scorsa Paragone conduceva “In onda” assieme a Francesca Barra, dal Pd era arrivato l’ordine tassativo di non partecipare: e infatti per quindici giorni a La7 non c’era neanche l’ombra di mezzo deputato del Pd, al massimo qualche “giornalista d’area”. Così ogni volta, per ricomporre, per avere l’ospite, specie nelle trasmissioni che fanno pochi ascolti, il conduttore di talk-show deve concedere qualcosa. I ragazzi di Grillo, per esempio, si sa, hanno una lista di avversari politici e di giornalisti sgraditi – a loro non piace Andrea Romano del Pd, ma nemmeno Daniela Santanchè di Forza Italia – dunque il portavoce Rocco Casalino (partecipante del primo indimenticato “Grande Fratello”) telefona, prova a contrattare la scaletta della trasmissione. A volte lo mandano dove dice Grillo, cioè a vaffa, molte altre volte no. “Il sogno dei politici è che tu gli apri la porta, gli consegni le chiavi e gli dici: prego, si faccia una domanda e si dia una risposta”, dice Telese.

 

[**Video_box_2**]E poiché in ciascun partito ci sono le correnti, le lobby, ognuna con le proprie leggi di accaparramento, i propri uomini di punta, di rincalzo, di spinta, di frenata, di compromesso, di tacco o di gomito, i reggicalze e le mezze calze, allora i partiti centralizzano e organizzano le partecipazioni: dettano caveat, e promuovono nomi. Il menù è fisso, come al ristorante rapido. “Pronto, chi posso avere stasera del Pd?”. “Vediamo un po’. Stasera possiamo offrire… Bonafè, Ricci o Bonaccorsi”. Ovviamente il fenomeno promozionale è soggetto alle altalenanti simpatie del segretario Renzi (e Bonafé, Ricci e Bonaccorsi adesso sono in fase calante). In Forza Italia, invece, c’è stato un periodo in cui le apparizioni televisive erano dirette da Deborah Bergamini e Andrea Ruggeri, solo che non si sapeva mai a chi dei due chiedere: un giorno era la Bergamini a comandare, l’altro era Ruggeri, a seconda delle altalenanti simpatie del Sultano Cavaliere. Le cose sono per una volta molto più chiare nei 5 stelle: comanda solo la Casaleggio&Associati. Quando il grillino Massimo Bugani si candidò sindaco di Bologna accettò immediatamente (e felicemente) il suo primo invito in televisione. Ma poi: “Casaleggio dice che non posso venire”. E insomma oggi un conduttore di talk-show non conduce, ma insacca quello che può, quello che gli danno, come il droghiere con le salsicce. Ed è nelle sfumature, nei non detti e nelle allusioni (“vengo soltanto se…”), che si gioca tutto. E’ dunque in questi corridoi stretti, nei cunicoli di queste faticose trattative, che il conduttore mette in gioco il proprio talento, le proprie idee e persino la propria onestà.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.