Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Sana e robusta Costituzione

Renzi, il referendum, le elezioni e quell'asse Mattarella-Napolitano

Redazione
Il presidente e l’ex presidente schierati con le riforme. E al Quirinale dicono che se il governo cade “si va al voto”

Roma. Il presidente e l’ex presidente, l’uomo dal passo felpato e l’uberpolitico, e insomma Sergio Mattarella e Giorgio Napolitano, entrambi esplicitamente schierati a favore delle riforme costituzionali, e dunque del referendum, elementi architettonici di un contrafforte sul quale sempre di più Matteo Renzi comincia a fare affidamento mentre si avvicina il voto finale sulla riforma del Senato (previsto l’11 gennaio) e già si profilano schieramenti, tra strepiti a sinistra e inerzie di sasso a destra, destinati a fronteggiarsi alla metà di ottobre, nel giorno del referendum confermativo, data sulla quale il presidente del Consiglio ha puntato tutto: “Se perdo il referendum, considero fallita la mia esperienza in politica”. E in questo conflitto di propaganda elettorale, di equilibrio e di potere in cui si specchiano voglia di rivalsa (nel Pd rottamato), ambizioni politiche (Laura Boldrini) e incertezze (Silvio Berlusconi), Napolitano e Mattarella hanno già occupato una posizione che i ragazzi di Palazzo Chigi definiscono “renziana” – con eccesso d’entusiasmo – e che invece osservatori più anziani e compassati giudicano di coerente riformismo. “Personalmente sosterrò la conferma della legge di riforma e mi auguro che le opposte parti politiche si confrontino sul referendum nella sua oggettività”, ha detto ieri Napolitano al Corriere della Sera. E Mattarella, tanto più sorprendentemente vista la sua nota predisposizione a mantenersi a fil di terreno, si è così espresso a proposito delle riforme lo scorso 21 dicembre: “Osservo che il senso di incompiutezza rischierebbe di produrre ulteriori incertezze e conflitti oltre ad alimentare sfiducia”.

 

E così si scorgono nuovi rapporti e persino riposizionamenti in quel gioco di specchietti allusivi che circondano il referendum, battaglia politica sulla quale è destinato a compiersi il fato del governo e dunque di conseguenza anche quello delle opposizioni dentro e fuori dal Pd, tutta una battaglia nell’ombra, implicita, sullo sfondo della grande riforma che – se approvata –  con la nuova legge elettorale avrà l’effetto di rafforzare la figura del premier modificando profondamente la natura della Repubblica. Dunque Napolitano assume sempre più le fattezze del traditore da melodramma agli occhi di quella minoranza democratica che già gli imputava di non aver dato, ai tempi, l’incarico a Pier Luigi Bersani, e che pure lo rimprovera di non aver protetto Enrico Letta dalle ambizioni del rottamatore di Firenze. Mentre Renzi, che ne aveva subìto il pedagogico iperattivismo, è adesso finito con il considerare Napolitano quasi uno dei suoi. Tutti difetti di prospettiva, deformazioni partigiane, analisi contorte intorno alle mosse di un uomo che per la verità continua a guardare Renzi come uno strano oggetto dall’incomprensibile linguaggio e che, come ricordano i tanti napolitaniani oggi al governo, non ultimo Enrico Morando, piuttosto sostiene le riforme renziane per antico vincolo di coerenza con se stesso: è dal 1992, cioè dai tempi della prima Bicamerale Iotti-De Mita, che Napolitano lavora per le riforme costituzionali. Eppure, quando ad agosto del 2015 intervenne nel tramestio correntizio del Pd per difendere le riforme, fu sommerso dai rimproveri: “Proprio perché Napolitano conosce il peso delle parole dovrebbe evitare di schierarsi. Non condivido il merito ma neppure il metodo”, gli disse Rosy Bindi.

 

[**Video_box_2**]E si tratta degli stessi retropensieri, sguardi obliqui, congetture, entusiasmi e improvvisi rabbuffi, in definitiva degli stessi difetti d’analisi che circondano anche il presidente Mattarella. Nelle ultime settimane il capo dello stato, solitamente muto come un sussurro, ha eccitato il tifo degli avversari di Renzi quando ha invitato a rispettare le competenze di ciascuno di fronte alla scelta del governo di affidare il caso delle banche popolari a Raffaele Cantone (e non alla Banca d’Italia). Ma poi il presidente ha deluso il fronte anti renziano, e ha entusiasmato il presidente del Consiglio (che tuttavia a intervalli lo teme questo capo dello stato insondabile), quando si è schierato a favore delle riforme, cioè a favore della madre di tutte le battaglie del governo. Adesso da Palazzo Chigi dicono che il Quirinale abbia mandato un messaggio chiaro: se quel referendum non passa, se il governo cade, si andrà alle elezioni. Nessun governo di alternativa. Ma chissà. Come Napolitano – che ribalta gli argomenti critici e politicisti di Boldrini e Eugenio Scalfari dicendo: “Guardate che il referendum non è promosso dal governo” – anche Mattarella sfugge al tifo da curva. Non interviene per fare politica di schieramento, ma interviene quando avverte un rischio nel sistema. E le riforme che non passano – lo ha detto – sono un rischio.