Il futuro di Renzi dipende da questo testo

Redazione
Ecco le condizioni della minoranza Pd per votare la riforma costituzionale e non far precipitare il governo.

Ieri pomeriggio, venticinque senatori del Partito democratico hanno presentato un documento con alcune proposte per cambiare la riforma del Senato in modo tale da poter essere votata anche da chi oggi non condivide l’impostazione messa in campo dal governo guidato da Matteo Renzi. Il documento ha una sua importanza non solo perché chiarisce quali sono i punti sui quali verrà costruita la trattativa tra la maggioranza e la minoranza del Pd, ma anche perché al Senato i numeri per Renzi ballano. E a fronte di una maggioranza che arriva nel migliore dei casi ad avere 171 senatori, avere una dissidenza interna al Pd formata da 25 senatori mette a rischio la sopravvivenza del governo, considerando che a Palazzo Madama il quorum minimo per avere la maggioranza, a ranghi completi, è 158 senatori.

 

Pubblichiamo il documento integrale.


 

Il treno del cambiamento costituzionale non si deve fermare perché l’Italia ha bisogno di istituzioni più moderne e con una più chiara e snella capacità di assumere decisioni e responsabilità per contribuire a ricomporre una società sempre più frantumata. A nostro giudizio, però, è necessario migliorare la riforma del Senato, in alcuni punti qualificanti, nell’interesse della democrazia italiana.

 

Le riforme istituzionali, che l’intero Partito democratico, sin dall’inizio della legislatura, si è assunto la responsabilità di mandare avanti, vanno definite con una logica di sistema in cui i valori della rappresentanza e quelli della governabilità devono trovare un punto di equilibrio apprezzabile sia nell’ambito della revisione della Costituzione, sia in quello della nuova legge elettorale che definisce le regole del gioco di tutti i soggetti politici in campo.

 

A nostro avviso bisogna intervenire sul disegno di legge costituzionale di riforma del bicameralismo perfetto licenziato dalla Camera soprattutto per due ragioni: anzitutto perché le modifiche introdotte dai deputati hanno alterato l’equilibrio trovato nella fase di lavoro precedente dal Senato e ne hanno eccessivamente impoverito il ruolo e le funzioni che andavano invece meglio salvaguardate; inoltre perché l’approvazione definitiva dell’Italicum rende necessarie modifiche sostanziali sia sulle modalità di elezione dei senatori sia sul sistema di garanzia e di controllo del nuovo Senato riformato.

 

La breve riflessione e le sintetiche proposte che sottoponiamo anzitutto al gruppo parlamentare del Pd, al nostro Partito, all’Assemblea del Senato e alla più vasta opinione pubblica, prendono le mosse da una netta convinzione: la revisione costituzionale è necessaria per superare il bicameralismo perfetto che l’Italia ha vissuto finora. Non vogliamo dunque frapporre ostacoli, ma impegnarci per una riforma rigorosa e convincente, frutto di un dialogo persuasivo e di un confronto serrato all’interno del Pd e con le altre forze politiche desiderose di sostenere il processo riformatore.

 

Di conseguenza diamo per acquisiti e condivisi due approdi: il prossimo Senato non sarà più titolare della fiducia al governo e non deterrà una parola determinante su leggi non bicamerali in quanto la stragrande maggioranza del procedimento legislativo attinente al programma di governo sarà affidato alla sola Camera, restando al Senato competenze specifiche in ambito legislativo, di controllo effettivo e di garanzia istituzionale.

 

1. Dopo l’Italicum è necessario cambiare il Senato

L’Italicum è stato approvato tra molte discussioni. Una cosa però è certa: dal momento che la nuova legge elettorale incide a fondo sulla forma di governo – con la previsione di un solo momento elettivo in cui la scelta del presidente del Consiglio è direttamente collegata alla determinazione dell’unica assemblea legislativa detentrice del vincolo di fiducia – è naturale e doveroso meditare, e rimeditare, sull’impianto della riforma costituzionale in atto, sui bilanciamenti e contrappesi e su quel che rimane dell’idea di rappresentanza politica. Tanto più che ciò avviene in un quadro fortemente maggioritario che per altro non risolve, mantenendo una rilevante quota di parlamentari nominati, il cruciale rapporto tra volontà politica e rappresentanza, tra cittadini e istituzioni. Un rapporto ancora più incrinato da una partecipazione al voto bassa e progressivamente in calo, come si evince anche dalle recenti consultazioni regionali, un dato di fatto che deve costituire un campanello di allarme per tutte le forze politiche italiane. Soprattutto perché chi vince governa, ma chi perde deve avere reali poteri di controllo sull’operato della maggioranza.

 

Il ritorno al Senato del testo di revisione costituzionale parzialmente modificato alla Camera, costituisce, dunque, un’opportunità, un banco di prova in un contesto sensibilmente mutato. Riteniamo pertanto di segnalare la necessità di alcune modifiche, tanto significative quanto sostanziali, che saranno oggetto del nostro impegno sia in sede di confronto e discussione, sia al momento della presentazione degli emendamenti che del voto in Aula.

 

2. Per un Senato elettivo che non sia un dopolavoro

In primo luogo diviene prioritario, a nostro avviso, all’indomani della promulgazione dell’Italicum, il tema della composizione del Senato, che non può rimanere composto da eletti di II grado, come stabilito in prima lettura, dal  momento che l’unica Camera politica in vigore avrà una maggioranza di parlamentari nominati dalle segreterie. Non è possibile pensare di rispondere alla crisi di credibilità dei partiti e delle istituzioni continuando a sottrarre ai cittadini il diritto di scegliere direttamente i propri rappresentanti, nella convinzione che una politica asserragliata in un fortino possa costituire una risposta adeguata agli affanni che la democrazia italiana, in buona compagnia con le altre democrazie europee, sta vivendo da ormai troppi anni.

 

Dal punto di vista giuridico un intervento è possibile dopo la correzione, introdotta alla Camera, dell’art. 57 della Costituzione, correzione relativa alla durata del mandato dei senatori, anche se sindaci, che coincide con quella degli organi delle istituzione territoriali dai quali e non più nei quali sono stati eletti (si potrebbe pertanto realizzare l’ipotesi di un sindaco che non esercita più le funzioni di governo locale, ma continua ad essere senatore fino alla scadenza del Consiglio regionale che lo ha eletto, godendo di tutte le immunità conseguenti). Tanto più che nella formulazione attuale è presente una contraddizione tra questa disposizione e quella contenuta nell’articolo 66 della Costituzione che, al contrario, stabilisce che il Senato prenda atto della cessazione della carica elettiva regionale o locale e della conseguente decadenza da senatore, facendo così presupporre che la durata della carica coincida invece con quella che il senatore contestualmente ricopre a  livello locale.

 

In tutta evidenza si apre qui lo spazio, peraltro avvalorato dal giudizio di insigni costituzionalisti, per l’espressione di una volontà politica che consenta l’elettività diretta dei senatori da parte dei cittadini con metodo proporzionale in concomitanza, ossia contestualmente, alle elezioni regionali. Elettività tanto più dovuta se si considera che il Senato, tra le altre competenze, mantiene quelle sulle leggi di revisione costituzionale, sui referendum popolari, sulla valutazione del criterio di sussidiarietà e proporzionalità in base agli stessi trattati dell’Unione, nonché sulle leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale e gli organi di governo dei comuni e delle città metropolitane.

 

Va però chiarito che non basta rinviare alla legge ordinaria l’elettività dei senatori perché, come tutte le leggi ordinarie, può essere modificata dalla maggioranza di turno, un’eventualità che bisogna evitare in ragione dell’impianto ipermaggioritario dell’Italicum (premio, ballottaggio, unico rapporto fiduciario) e della nomina della maggioranza dei parlamentari da parte dei segretari dei partiti, uno dei quali diventerà anche presidente del Consiglio. Inoltre, è quanto meno opinabile che le regioni possano essere obbligate a modificare le proprie leggi elettorali per via ordinaria dal momento che la Costituzione garantisce loro piena autonomia in tale materia.

 

Come è noto non ci sono ostacoli regolamentari per una modifica della Costituzione. Basta solo la volontà politica. Se ci fosse la possibilità di un nuovo spirito unitario all’interno del nostro partito saremmo disponibili a fare del Pd una forza compatta del riformismo costituzionale e potremmo lavorare insieme per coinvolgere tutte le altre forze politiche di maggioranza e di opposizione, con l’obiettivo di superare il vulnus di quell’aula semivuota e lacerata che ha caratterizzato la prima lettura del provvedimento e che non si confà alla dignità di una riforma costituzionale tanto rilevante.

 

3. Per un Senato delle autonomie con poteri di controllo, di verifica e di garanzia

In secondo luogo, resta a nostro avviso fondamentale e, anzi, dopo l’approvazione dell’Italicum ancora più cruciale, la questione degli strumenti di controllo, di verifica, di terzietà, nonché quella di un compiuto sistema di garanzie in modo che siano assicurati pesi e contrappesi adeguati – come per altro ha sostenuto lo stesso Matteo Renzi nella sua lettera a “La Stampa” del 29 aprile 2015. Siamo del parere che il Senato, proprio perché slegato com’è da un rapporto fiduciario rispetto al governo, possa e debba svolgere in modo più libero e autorevole le proprie funzioni di controllo, di verifica e di valutazione che altrimenti rischierebbero di essere compromesse.

 

Vanno, dunque, riviste le norme dell’art. 55 della Costituzione che, dopo l’intervento della Camera, hanno pesantemente ridimensionato le prerogative del Senato su materie fondamentali quali il concorso alla funzione legislativa, il raccordo tra gli organi istituzionali dell’Unione Europea, lo Stato e gli enti locali, la valutazione dell’attività delle Pubbliche Amministrazioni e lo svolgimento di funzioni ispettive sul loro operato, la verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato, il controllo e la valutazione delle politiche pubbliche e nell’espressione dei pareri sulle nomine di competenza del governo, la verifica della sussistenza dei requisiti per le nomine dei vertici dello Stato e delle autorità indipendenti (sul modello del Senato statunitense), l’esercizio di funzioni di coordinamento in materia di finanza locale, la partecipazione alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione Europea, nonché alla valutazione del loro impatto.

 

Questo in vista di una restituzione di efficacia e di autorevolezza di funzioni di significativa portata soprattutto quanto alla vocazione europea del nuovo Senato, al suo ruolo di controllo, di verifica, di valutazione. La stessa esigenza di semplificazione del procedimento legislativo, invece di graduare la partecipazione del Senato all’iter di formazione della legge in ragione dell’oggetto della legislazione, finisce per comprimere il ruolo del Senato senza che vi sia un effettivo miglioramento del procedimento stesso. E ciò con particolare riguardo alle materie d’interesse delle Regioni e degli Enti locali. Ad esempio, per quanto riguarda le leggi non bicamerali paritarie, ci sembra eccessivamente degradante prevedere un procedimento legislativo che si attiva solo se, nel brevissimo termine di dieci giorni, lo richieda un quorum grandemente elevato di senatori (un terzo), che, non a caso, non compare mai in Costituzione, se non, significativamente, per l’iniziativa di una riunione straordinaria delle Camere (art. 62).

 

Infine, riteniamo corretto prevedere per specifiche sessioni la partecipazione dei presidenti di regione ai lavori parlamentari e, per quanto riguarda la rappresentanza della comunità italiana eletta all’estero, ha fondamento istituzionale che la sua presenza sia interamente nel nuovo Senato e non nella Camera che attribuisce la fiducia al governo.

 

Quanto al sistema delle garanzie esso va fortemente potenziato sia in relazione alle modalità di elezione del Presidente della Repubblica, ad esempio ampliando la platea dei “Grandi elettori”, oggi eccessivamente ridotta e numericamente squilibrata in favore della Camera, sia rispetto alla scelta dei giudici di nomina parlamentare della Corte Costituzionale, che è stata completamente sottratta al Senato. Tali modalità elettive sono da rivedere soprattutto considerando lo squilibrio esistente tra il numero dei componenti di una Camera rispetto a quelli dell’altra, un problema che può essere affrontato e risolto anche prendendo in considerazione la riduzione del numero dei deputati, con il duplice obiettivo di recuperare un maggiore equilibrio fra i due rami del Parlamento e di ottenere un’equivalente riduzione dei costi della politica anche in presenza di un Senato elettivo diretto. Infatti, se è giusto ridurre il numero dei parlamentari, è sbagliato farlo in modo unilaterale, lasciando inalterata la numerosità (ridondante) proprio dell’unica Camera cui si applica il premio di maggioranza congegnato dall’Italicum, perché ciò di per sé tocca e squilibria delicati bilanciamenti e contrappesi istituzionali stabiliti in modo assai lungimirante dai padri Costituenti.

 

Sempre nell’ambito delle garanzie e dei necessari equilibri istituzionali propri di una democrazia parlamentare moderna, è necessario mantenere il procedimento bicamerale su alcuni selezionati temi di rilevante spessore che la configurazione ipermaggioritaria dell’Italicum rischierebbe di affidare alla potestà esclusiva di una minoranza resa maggioranza solo ed esclusivamente dalla conquista del premio elettorale: leggi elettorali per le politiche nazionali (al fine di evitare che una maggioranza, grazie al premio dell’Italicum, diventi arbitra da sola di quanto ulteriormente premiarsi, magari imponendo la fiducia), leggi di natura etica e a forte valenza biopolitica (relative, ad esempio, a questioni come l’inizio e il fine vita), amnistia e indulto, diritti delle minoranze (art. 6), dichiarazioni di guerra e libertà religiosa, in riferimento alle questioni del Concordato con la Chiesa cattolica (art. 7) e alle intese con le altre confessioni (art. 8).

 

4. Titolo V: più flessibilità e meno ricentralizzazione

Per quanto riguarda il Titolo V, rispetto al quale è evidente un processo di ricentralizzazione per l’intero sistema delle autonomie locali, occorre ritornare per alcuni temi fondamentali al testo originario già approvato al Senato, in vista di un equilibrio più stabile e flessibile tanto sotto il profilo delle competenze legislative quanto sotto quello dell’autonomia finanziaria.

 

Auspichiamo che tali riflessioni possano costituire un terreno di confronto all’interno del Partito democratico, nel gruppo parlamentare del Pd del Senato, con il governo e con tutte quelle forze politiche di maggioranza e di opposizione desiderose come noi di portare a compimento il processo riformatore avviato nel corso di questa legislatura.

 

Claudio Broglia, Vannino Chiti, Paolo Corsini, Erica D’adda, Nerina Dirindin, Federico Fornaro, Maria Grazia Gatti, Francesco Giacobbe, Miguel Gotor, Maria Cecilia Guerra, Silvio Lai, Sergio Lo Giudice, Claudio Martini, Patrizia Manassero, Luigi Manconi, Doris Lo Moro, Claudio Micheloni, Maurizio Migliavacca, Massimo Mucchetti, Carlo Pegorer, Lucrezia Ricchiuti, Ludovico Sonego, Walter Tocci, Mario Tronti, Renato Turano