Matteo Renzi (foto LaPresse)

Le mosse (già pronte) di Renzi dopo le amministrative di fine maggio

Redazione
Il premier crede in una vittoria larga dopo il voto. Così potrà rimettere mano alle presidenze delle commissioni parlamentari.

Finora ha sempre prontamente smentito. Con l’aria sdegnata (e anche un po’ schifata). Questa volta non l’ha (ancora) fatto. Certo, non vuol dire niente. Fatto sta che Roberto Saviano sta facendo una sorta di campagna elettorale strisciante contro Matteo Renzi. Il che non significa che, come è stato scritto, sia automaticamente il nuovo candidato della sinistra che si oppone al presidente del Consiglio, anche se molti da quelle parti lo spererebbero perché temono che gli altri protagonisti della contesa politica giungano fino al 2018 troppo usurati. C’è chi invece attribuisce tanta vis polemica dello scrittore al suo non più idilliaco rapporto con Repubblica e chi a un momento di stanchezza creativa che lo porta a occupare il suo tempo in altro modo e a lasciare i romanzi da parte. Si vedrà, ma nella fucina della sinistra alternativa al presidente del Consiglio fervono i lavori e ognuno spera che la situazione economica renda impossibile il rilancio del premier.

 

Il premier, però, sembra avere le idee ben chiare in proposito. Nemmeno un non eccelso risultato elettorale alle regionali di fine maggio gli farà cambiare verso. A quel 4 a 3 di cui continua a parlare in realtà non crede affatto. E’ convinto che alla fine sarà sei a uno, come aveva profetizzato la prima volta. E questo gli consentirà di rimettere mano alle presidenze delle commissioni parlamentari che a giugno debbono subire il tagliando di prammatica per inserire qualche pd che a suo avviso va premiato. Saranno presidenze che attualmente sono in mano alle opposizioni. Quelle che sono guidate da esponenti del Partito democratico, per quanto di minoranza, non dovrebbero essere toccate. Se non, forse, la Bilancio, che è presieduta da Francesco Boccia, il quale però in questi ultimi tempi si è riallineato e si è allontanato da Enrico Letta. Il premier comunque non vuole allargare le divisioni nel partito, ma solo nella sinistra interna. Li ha già fatto la sua divisione tra buoni e cattivi e premierà i primi, in modo da emarginare definitivamente i secondi. E i primi potrebbero entrare anche nel governo.

 

Diverso il discorso del nuovo capogruppo. Là c’è una battaglia che divide gli stessi renziani. La parte più dialogante (scuola Delrio, per intendersi) vorrebbe che il presidente del Consiglio desse quel posto a un ex Ds sempre nella logica dell’offensiva della simpatia nei confronti della minoranza interna. Sarebbe anche il modo – dicono – per dimostrare che non è vero quello che temono molti di loro, ossia che Matteo Renzi sta trasformando il Partito democratico in una grande D dal momento che in tutti i ruoli chiave (eccezionale fatta per Matteo Orfini) ha messo degli ex Dc, a cominciare dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I renziani più puri e duri, invece, contestano questa impostazione e sostengono che il posto di capogruppo è troppo importante e rappresenta uno snodo troppo delicato per affidarlo nelle mani di un esponente della minoranza interna, seppur dell’ala morbida. Per questa ragione preferirebbero Ettore Rosato o Lorenzo Guerini. Il presidente del Consiglio, come al solito, non si è espresso ancora in maniera definitiva, benché attualmente la sua bilancia sembra pesare di più dalla parte di chi vorrebbe un uomo di provata fede sulla poltrona che fu di Roberto Speranza.

 

[**Video_box_2**]Un’altra novità che il segretario avrebbe in mente nel caso sia Lorenzo Guerini ad andare a ricoprire il ruolo di capogruppo del Pd alla Camera è quella di nominare un vicesegretario unico. Ma chi? Nei corridoi della Camera si sussurrava tempo fa il nome di Maria Elena Boschi, ma la ministra ha un ruolo chiave nel governo e disfarsene sarebbe veramente difficile.