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Piccola Posta

Il nemico, la rivoluzione cristiana e la difesa: delle persone e di un continente

Adriano Sofri

I nemici esistono, e sono riconoscibili, a volte riconoscibilissimi, e da lì comincia l’impresa di amarli. Impresa quasi sovrumana, tanto più quando percuotono la guancia altrui, quando rubano il mantello ad altri. Il cristianesimo esorta a non soccombere all’odio e alla vendetta, non a rinunciare alla difesa

Tra venerdì e domenica si sono pronunciati sulla guerra – “la guerra”, non questa Operazione Militare Speciale, o quella Tempesta di Al-Aqsa del 7 ottobre, ovvero l’offensiva delle Spade di ferro e dei Carri di Gedeone a Gaza – il Papa Leone nell’Angelus del protomartire Santo Stefano e Michele Serra su Repubblica. Il Papa ha detto che “chi crede alla pace e ha scelto la via disarmata di Gesù è spesso ridicolizzato, spinto fuori dal discorso pubblico e non di rado accusato di favorire nemici e avversari”. Serra ha citato il Papa, e ha avvertito anche lui che “si è tornati a parlare della guerra non solo come una ordinaria circostanza della storia, ma come una prova del fuoco alla quale possono sottrarsi solo il pusillanime e l’imboscato; e di conseguenza si è tornati a parlare della pace come di una imbelle patologia del benessere”. Come non consentire? Come non separare chi scelga “la via disarmata di Gesù”, una via che può condurre e spesso conduce alla testimonianza estrema, al martirio, da chi in effetti “favorisca nemici e avversari”? Si vorrà infatti ammettere che se i primi sono faziosamente e miserabilmente calunniati, i secondi esistono e si prodigano.

 

Nel discorso del Papa mi ha spaesato l’affermazione: “I cristiani non hanno nemici”. Non voglio giocare con le parole, e non sono in grado di affrontare un dibattito teologico così grave di precedenti e di varianti, ma per amare il proprio nemico bisogna pur che il nemico esista, e che non si riduca al solo Satana, l’Avversario, il Pubblico Ministero. “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Il Padre celeste “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni…”. “I cattivi”, diceva il Papa Francesco, per farsi capire dai bambini. Del resto poco più avanti il Papa Leone dice del Natale e della “gioia motivata di chi già riconosce attorno a sé, anche nei propri avversari, la dignità indelebile di figlie e figli di Dio”. I nemici esistono, e sono riconoscibili, a volte riconoscibilissimi, e da lì comincia l’impresa di amarli, benedirli quando maledicono, pregare per loro, quando ti percuotono la guancia porgere l’altra, se ti strappano il mantello offrirgli la tunica. Impresa quasi sovrumana, tanto più quando percuotono la guancia altrui, quando rubano il mantello ad altri – al prossimo tuo. La rivoluzione cristiana esorta a non soccombere all’odio e alla vendetta, non a rinunciare alla difesa.

 

La legittima difesa delle persone, “la difesa del continente”: “Non c’è cittadino europeo di buon senso che non capisca la necessità di ripensare daccapo la difesa del continente…” – era l’esordio di Serra. Che scrive della “pratica arcaica e maschile” della guerra. Infatti. Di più. Citerò me stesso, a qualche giorno dall’invasione dell’Ucraina, quanto alla mia “posizione che vede nella guerra – sempre e ancora – un culmine della formazione maschile, virile, termini che tendono a coincidere, e, rispettivamente, un culmine dell’estraneità femminile, e femminista. Non è l’antico verso della guerra invisa alle madri, che consacrava una divisione del lavoro, e che l’Ucraina di oggi sembra riconsacrare – la condizione di guerra infatti esalta la disuguaglianza di genere e ricaccia indietro la libertà. E’ una posta di questa guerra, come di tutte le altre spaventose guerre contemporanee che non a caso sono soprattutto guerre civili, cioè incivili, e investono il corpo delle donne, in carne e ossa e nel fantasma… Ho sentito il giornalista, e militante, ucraino Vladislav Maistrouk dire, quasi per un’idea improvvisa, che l’ossessione di Putin per l’Ucraina somiglia a quelle di certi uomini per la ex moglie che hanno amato, al punto di ucciderla. Mi è sembrato un pensiero folgorante: l’Ucraina è mia perché lo è stata, e se non vuole essere più mia non sarà di nessun altro. Un corto circuito fra guerra e femminicidio: mai casus belli è stato più nitido”. Scrivevo discutendone con la mia amica Lea Melandri, di cui avevo temuto che la dichiarazione di pacifismo radicale – qualcosa di più e di diverso dal “preferirei di no”, qualcosa che scambia radicalità per assolutezza – l’avrebbe indotta a condividere sempre più la comprensione per il nemico, com’è successo.

 

Ricapitola Serra, rifacendosi a sua volta oggi a Lea Melandri: “Pochi maschi di potere, quasi sempre anziani e quasi sempre per ragioni di prevaricazione economica, mandano a morire moltitudini di maschi giovani”. Così è, infatti. Quasi così. Per questo vale la pena di pensare, oltre che “alla guerra” e “alla pace”, all’Operazione speciale, al Pogrom del 7 ottobre, ai Carri di Gedeone - al Sudan, al Myanmar, al Congo, al mondo. Così voglio ricordare a Michele Serra, di cui mi vanto amico, che l’età media dei militari combattenti in Ucraina, incerta com’è, supera comunque i 40 anni, e nei calcoli più attendibili si aggira sui 43. E che l’età media del governo e della cerchia presidenziale ucraina è di pochissimo superiore. Le guerre, qualunque denominazione le camuffi, si somigliano e si dissomigliano. Chi non ha imparato a ripetere che “le vittime di una guerra, qualsiasi guerra, sono sempre i civili, che non hanno colpe”, come diceva Gino Strada. Però fra gli ucraini il numero di caduti, morti e feriti e mutilati, combattenti, è enormemente superiore a quello, pur esoso, delle vittime civili. E fra gli aggressori russi, il numero spaventoso dei morti e feriti militari è incomparabile con quello delle vittime civili, sparuto effetto delle incursioni ucraine oltre frontiera per colpire depositi, infrastrutture e basi degli attacchi. A Gaza, al contrario, dove il numero di vittime della vendetta israeliana è smisurato, smisurato è anche il divario fra la popolazione civile e i miliziani. E i vecchi e meno vecchi uomini virili che detengono il potere in Israele contano da sempre su una gioventù combattente che comprende ragazze e ragazzi ebrei arruolati obbligatoriamente (con la famigerata eccezione degli Haredim) al compimento dei 18 anni. (In Ucraina, l’età della leva si abbassò nell’aprile 2024 dai 27 ai 25 anni).

 

Poi, restando al Natale, ci sono i bambini soldato. In Sudan, quella strana guerra, nel Myanmar, la guerra più lunga, in Congo, quella sarabanda di bande armate… Che quer covo de assassini che ce insanguina la tera, sa benone che la guera è un gran giro de quatrini. La guerra. Poi ci sono le guerre, comunque le si chiami – quella in Cecenia si chiamò Operazione militare speciale, e l’invasione sovietica della Polonia del 17 settembre 1939, a ridosso e completamento di quella nazista di sedici giorni prima, si chiamò Campagna di liberazione e a sua volta Operazione militare speciale.

 

Così, per guardarle negli occhi, una per una.