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Piccola Posta
Il destino dell'Ilva e la promessa di una morte rallentata
La mobilitazione della gente di Taranto ha coinvolto tutte le generazioni: si protesta contro il progetto della "decarbonizzazione in 12 anni" (balle servite). L'idea, poi, di far ripartire la produzione d'acciaio per aumentare la spesa militare sembra quasi uno scherzo: non si maschera più la produzione di armi per farla passare per civile, ma il contrario
Il destino dell’ex Ilva di Taranto si deciderà, un’ennesima volta, fra oggi e dopodomani. Forse non si deciderà, per un’ennesima volta, e già chiamarlo “destino” lo innalza a capricci celesti e lo sottrae alle responsabilità umane, terra terra. Sottoterra sottoterra. Fra le notizie che ho sbirciato ieri c’era l’appello del presidente provinciale dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche, Pierpaolo Volpe, improntato alla convinzione che “non sia più tempo di compromessi, bisogna fermare le fonti inquinanti e dare il via alle bonifiche”. Non so valutare l’autorevolezza dell’Ordine, benché tenda ad avere fiducia, e certo mi ha colpito che si dica anche allarmato da “dichiarazioni apparse sulla stampa, secondo cui la costruzione dell’Ospedale San Cataldo sarebbe una sorta di compensazione per mantenere attive le fonti inquinanti”. Se così fosse, saremmo oltre la logica per la quale se le galere sono sovraffollate invece di sfollarle si promette di costruirne di nuove nel futuro remoto, e intanto di piazzare dei container negli spazi superfluamente adibiti ai cento passi dell’ora d’aria - e di sole a picco. La logica ministeriale per Taranto sarebbe quella di Charlot vetraio e del monello mandato avanti a rompere i vetri a sassate, che già riprendeva una tesi dell’economia classica sullo sviluppo, oggi applicata in grandissimo coi dazi e con le guerre, interi eserciti di monelli a spaccare i vetri. Alla sequenza tarantina si potrebbe anzi imputare un eccesso di prudenza economica: perché limitarsi a nuovi ospedali quando si può metter mano all’espansione edilizia dei cimiteri?
Un altro dettaglio mi ha colpito, nella attenta cronaca che ho letto sul Domani della mobilitazione crescente della gente di Taranto contro il progetto governativo – decarbonizzazione in 12 anni, produzione costante a 6 milioni di tonnellate annue, una combinazione di morte rallentata e balle servite. (Decarbonizzazione in 12 anni è mero sinonimo di carbonizzazione per 12 anni, poi si vedrà). Dice il cronista, Marcello De Monte, che alle numerose manifestazioni partecipano le cittadine e i cittadini “dai venti ai 70 anni”, nelle sue intenzioni, credo, un modo di dire “di tutte le età”. Oso sperare, e credere, che ci siano anche i minori di 20 e i maggiori di 70. Lo dico amaramente il giorno dopo che uno sciagurato “di 81 anni” ha fatto un’inversione a U sull’autostrada, facendo incombere sul destino della popolazione un’altra inesorabile minaccia.
Il giorno dopo, anche, che un felice accordo sui dazi, che ha lasciato immaginare un mondo in cui Totò Riina venisse democraticamente eletto a maggioranza presidente della repubblica, ha tenuto i dazi sull’acciaio al 50 per cento – il doppio rispetto alla tariffa in vigore fino al 4 giugno scorso. Non so valutare bene che cosa significhi per le situazioni, collegate, genovese e tarantina, né per quella piombinese, dove si gioca una partita legata all’invasione russa dell’Ucraina e alla distruzione e occupazione di Mariupol. E a una relativa inaudita abbondanza di rottame ferroso. C’è un ultimo dettaglio che mi colpisce, lo copio da un articolo dell’Espresso che cita Carlo Mapelli del Politecnico milanese: “Anche l’idea di far ripartire la produzione industriale con 8 milioni di tonnellate di acciaio per sostenere la produzione di armi sembra essere fuori luogo perché l’industria degli armamenti non utilizza acciai ad alta duttilità, ma acciai speciali ad alta resistenza che non necessitano di partire da minerali. L’impressione è che si tenti di far passare l’Ilva fra le spese per la difesa, quando invece si tratta di un tentativo di finanziare a debito azioni per cui non c’è altra fonte di finanziamento”. Uno penserebbe che mascherassero la produzione militare per farla passare per civile, e invece siamo al contrario: la produzione per le armi millantata per trovare soldi.
L’AIA, l’Autorizzazione Integrata Ambientale, scaduta da due anni, era stata rinnovata lo scorso 17 luglio, e prevede 472 prescrizioni da attuare, ciò che suona piuttosto umoristico. Benedetta dal governo, “Taranto è salva”, ignorava il parere contrario degli enti locali, dalla Regione al Comune, da poco insediato dopo le elezioni vinte dal sindaco di centrosinistra Pietro Bitetti col 55 per cento dei voti. Però il navigato presidente della Regione Michele Emiliano, a giudicare da un titolo piuttosto tristo che leggo sul Nuovo Quotidiano di Puglia, “Non decidono le vittime, dal consiglio spero arrivi l’ok all’intesa”, sembra oscillare misteriosamente da una sponda all’altra, sì no, no sì, come quando si è in alto mare. Forse si tratta della solita supposta alternativa fra difesa dell’occupazione e difesa della salute. Ma si è fatto molto tardi.