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Piccola Posta

Quando Valli e Garboli dibattevano dell'occidente. Uno scambio per l'oggi

Adriano Sofri

In Ucraina il rigore anticoloniale del secondo è sconfessato dalla tracotanza del nemico principale, quello già di Praga. A Gaza, la democrazia occidentale e il suo circondato avamposto israeliano mostrano la corda fino a spezzarla

Dei pensieri pubblici di Bernardo Valli sento la mancanza, almeno quanto sento il fastidio della presenza di troppi altri. Dunque saluto l’uscita della raccolta di interventi di Valli nelle 600 pagine dell’edizione Ventanas, “Se guardo altrove. Letteratura, arte, fotografia, cinema (1962-2019)”, promossa da Franco Contorbia. E’ il complemento, dieci anni dopo, del formidabile volume Mondadori dei “Reportages (1956-2014)”, intitolati alla “Verità del momento” – là le pagine erano 1066. Là era l’inviato di guerra e di politica, qua il versatile corrispondente e testimone culturale. Come ogni zibaldone, offre la voluttà della lettura ad apertura di pagina, fin dall’intervista con Simonetta Fiori che fa da prefazione. Sentenze che turbano, come quella su Jean Seberg, “bellissima, ma non altrettanto intelligente”. Che disturbano, come sul disgraziato Althusser, che “uccidendo Hélène, sua moglie, ha finito per uccidere se stesso”. Che rendono giustizia, come sul bravissimo Franco Solinas e la Battaglia di Algeri: “Gillo era un visionario, ma il vero intellettuale era lui, l’autore della sceneggiatura”. O che fanno sorridere, come la definizione di sé: “…un ragazzo scappato da casa – quello in fondo sono rimasto a lungo”, che riscatta l’abuso de “gli scappati di casa”, figura appena difesa, giustamente, da Francesco Merlo.

Su un episodio in particolare richiamerei l’attenzione, famoso del resto. Il 30 novembre del 2002 Cesare Garboli indirizzò a Valli su Repubblica una lettera aperta intitolata “Si può leggere il presente con gli occhi del passato?” Replicava, in un tono di viaggiatore svagato – “mi trovavo, qualche giorno fa, a La Rochelle…” – a un articolo di Valli su “I tradimenti dell’occidente e la rivincita di Praga”. Il tono si faceva presto serio e poi decisamente severo. Garboli ricordava l’ammonimento di Delio Cantimori a non applicare al presente i parametri di giudizio del passato. A Valli che, almeno per metà, “non vuole rassegnarsi”, e addita il primo tradimento dell’occidente nel regalo dei Sudeti a Hitler nel 1938, nell’illusione di “placare la Germania nazista”. Garboli: “Mio Dio, com’è proteiforme questo Occidente! Tradimento? Altro che tradimento, caro Bernardo. La Germania, nel 1938, era il cuore dell’occidente… Si direbbe che il volto impaurito e irresoluto dell’occidente ti faccia dimenticare la vocazione aggressiva dell’occidente, tanto più irrazionale e crudele quanto sempre esercitata, dai tedeschi ieri e dagli spagnoli e dai nordamericani in secoli un po più lontani, ‘a fin di bene’, di progresso e di pace… Dire occidente, come ben sai, è dare un nome alla contraddizione medesima. Contraddizione vuol dire dialettica, e la dialettica è il solo, vero valore dell’occidente: la dialettica, ovvero la capacità di compiere orrori e di commettere ingiustizie, ma anche quella di criticarli e di sentirsene colpevoli… Non vorrei sbagliare, ma ho l’impressione che tutto il tuo articolo cammini lungo una strada che porta alla tesi, oggi sempre più vittoriosa, contraria alle opinioni di Gino Strada, secondo la quale si può salvare la pace solo con la forza, che vuol dire missili e bombe. E sia, ma chi sarebbe il nostro Hitler contemporaneo? Sicuro di averlo identificato? E che sia quello giusto?” E finiva, Garboli, con uno sguardo visionario sull’intero continente americano: “Quante civiltà, quanti popoli ci sarebbero ancora se non fossero intervenuti i valori dell’occidente, e senza le bandiere che li difendevano".

La risposta di Valli ha il titolo: “I giudizi sull’occidente alla luce della storia”. Anche lui la prende alla larga, con una specie di distrazione da turismo culturale, sul quartiere parigino in cui abita e il suo sontuoso retaggio letterario.

Poi viene al punto. “So che la storia non si ripete mai. Ma come seguire la vicenda mediorientale senza la lente della storia? Là c’è un popolo ritornato dopo duemila anni nella terra che fu sua. Vi è ritornato sferzato da tragedie secolari. Tragedie che si ripercuotono su un altro popolo, innocente, che su quelle terre è trattato adesso, tragicamente, come se fosse di troppo. Il passato l’ho incollato addosso quando faccio il mio mestiere. Quando vedo la cerimonia / del patto Atlantico / nel castello di Praga, rivado con la memoria al ‘68 cui ho assistito. E più in là: al ‘48, al ‘38… Come invidio l’elegante leggerezza della tua lettera… ma è un lusso che non posso permettermi… Tu, con la tua leggerezza mi hai gettato tra le braccia dei macigni. Non arriverò comunque al punto di rispolverare, rivolgendomi a te, i ‘valori’ che si sottintendono quando si parla di occidente. Del resto tu stesso fai una sintesi che mi sembra esemplare, quando scrivi che dire occidente è dare un nome alla contraddizione medesima, la quale significa dialettica, ovvero capacità di compiere errori e di commettere ingiustizie, ma anche quella di criticarli e di sentirsene colpevoli. Ti pare poco, Cesare? Dove non c’è quella contraddizione non c’è occidente. Là gli errori vengono sepolti sotto il silenzio e le idee si infrangono contro i dogmi. L’occidente fu espulso dalla Germania, che ne era stata il cuore, quando prevalse il nazismo”. Più avanti Valli cita la Praga di Karel Kosìk e di Milan Kundera, e il vuoto che descrivono come un’assenza dell’occidente,

“Come credere nell’occidente, se quello che oggi è il centro dell’impero occidentale suscita tante perplessità? Gli Stati Uniti non sono un’entità monolitica. Al loro interno è forte la dialettica di cui tu parli. Dialettica alla quale diamo abitualmente il nome di democrazia, se vuoi di democrazia occidentale, per fissarne la specificità e i limiti. Nella coscienza di questi limiti risiede, penso, il principale pregio dell’occidente”.
Lascio così lo scambio, che sembra davvero, come si dice troppo spesso, scritto per l’oggi. Il paesaggio di allora era segnato dalla reazione americana all’11 settembre dell’anno prima, dalla continuazione della Seconda Intifada e dall’Operazione Defensive Shield, con l’occupazione israeliana del West Bank e la battaglia di Jenin… Allora e ancor più oggi, quando non a caso il tema dominante è quello della crisi della democrazia, il punto era quello del limite oltre il quale la contraddizione tra i valori proclamati dell’occidente e l’inadempienza o addirittura la sconfessione pratica, diventa così lacerante da rovesciare il tavolo. In Ucraina il rigore anticoloniale di Garboli è sconfessato dalla tracotanza del nemico principale, quello già di Praga. A Gaza, la democrazia occidentale e il suo circondato avamposto israeliano mostrano la corda fino a spezzarla.

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