(foto Ansa)

Piccola posta

Per la prima volta Zelensky accenna alla sconfitta, ed ecco quelli che gongolano

Adriano Sofri

Si è diffusa come un'epidemia la nozione per cui gli amici della Russia hanno avuto ragione. E' la vecchia piccola storia: bisogna saper vincere, bisogna saper perdere. E ora coraggio

Dunque Zelensky ha detto: “Se no, perderemo la guerra”. Non sono riuscito a controllare se abbia detto proprio così, il verbo perdere, la sconfitta insomma. Forse ha detto, più sofficemente: “Se no, non solo non riusciremo ad avanzare, ma nemmeno a resistere”. Comunque il concetto è chiaro, e l’intenzione era di farlo apparire chiaro. Se no, vuol dire senza armi antiaeree e senza munizioni. Si direbbe piuttosto evidente che, in una guerra, “se noi mandiamo 3.000 munizioni al mese, e i russi ne sparano 20.000 al giorno” (Raphaël Glucksmann ieri), è piuttosto certo che noi perdiamo. Come che sia, è la prima volta, se non sbaglio, che Zelensky nomina la sconfitta. Tardi? Forse, ma non penso che bisogni rimproverargli questo. Del resto, “chi sono io per rimproverargli qualcosa” eccetera. Piuttosto, avrei apprezzato molto che tempo fa, parecchio tempo fa, Zelensky dicesse: “Abbiamo vinto”.

Per due ragioni. La prima, che era vero. L’Ucraina aveva vinto, e Putin era stato ricacciato indietro con enormi perdite e le pive nel sacco. La seconda, che rivendicare limpidamente di aver vinto fissava un traguardo raggiunto che nessun futuro compromesso eventuale avrebbe espropriato. Invece Zelensky ha preferito voltare la frase “Abbiamo vinto” in quella: “Vinceremo”. E fino all’altroieri l’ha ripetuto incrollabilmente. Le parole incrollabili servono soprattutto a impedirsi di crollare, è un meccanismo psicologico scoperto e non privo di una sua dignità. Lo stesso del ragazzino che avverte quello più grosso che lo riempie di cazzotti che tanto fra poco lo stende. Poi arriva il momento di non dire più ci riprendiamo tutto, Donbas e Crimea e tutto, e di dire “Se no perderemo”. Anche perché se no gli alleati continueranno a fare orecchi di mercante – di mercante, alla lettera.

Quanto ai cazzotti, ieri il ministro ucraino dell’Energia ha dato i numeri: “Nelle ultime settimane la Russia ha colpito fino all’80 per cento della produzione termica delle centrali elettriche convenzionali e più della metà della produzione delle centrali idroelettriche dell’Ucraina. Il più grande attacco al settore energetico dall’inizio della guerra”. Così. Un’osservazione ancora, un pro memoria, per il giorno del giudizio. Si è diffusa, virale come un’epidemia, la nozione per cui gli amici della Russia o, che non è lo stesso ma quasi, i nemici dell’Ucraina, hanno avuto ragione. Ci hanno azzeccato, dal primo momento. E’ un’impostura. Non hanno affatto previsto come sarebbero andate le cose: l’hanno solo desiderato, ardentemente desiderato. E’ diverso. Basta guardare come gongolano. Gongolano per la vittoria di Putin, per la sconfitta dell’Ucraina – che non sono del resto avvenute, né l’una né l’altra, ma non è il punto. Il punto precede l’andamento delle cose.

Io – faccio un esempio piccolo, ma tengo a me – ho raccontato più o meno da un anno e mezzo su due le rimozioni degli ucraini sui punti deboli della loro resistenza e della loro retorica, continuando a stare saldamente dalla loro parte, che è la mia. Il problema non è vincere o perdere, tantomeno nelle accezioni dei gongolieri. E’ la vecchia piccola storia, bisogna saper vincere, bisogna saper perdere. E ora coraggio.

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