Guerra in cecenia - foto LaPresse

Piccola Posta

Una domanda che mi faccio da ventisette anni

Adriano Sofri

Domenica alle 14 ci sarà la presentazione del mio libro "C'era la guerra in Cecenia" con Wlodek Goldkorn e Augusto Lombardi. Cercherò risposte a un quesito che mi assilla da tanto tempo 

Domenica, alle 14, alla romana fiera di Più libri Più liberi, presentando il mio libro “C’era la guerra in Cecenia” (Sellerio) con Wlodek Goldkorn e Augusto Lombardi, conto di rispondere alla domanda, che in mancanza di meglio mi faccio da me: Ah, perché non son io commendatore? Lombardi, oggi primario di chirurgia a Roma, era nel 1996 uno dei tre volontari italiani sequestrati per due mesi in Cecenia. Grazie alle devote amicizie che mi ero fatto in un viaggio nella guerra dell’impero russo contro la minuscola Cecenia la “prima”, quella che i ceceni vinsero! – tornai pressoché clandestinamente a Grozny e, nell’imbarazzo incline al sabotaggio delle autorità russe e italiane competenti, contribuii decisivamente alla liberazione dei tre. Poi andai in galera, che era stato sempre un mio obiettivo.

Dopo di allora si disse, dalle Izvestia, da interrogazioni parlamentari italiane, e da giornali ben orientati, che: il mio primo viaggio (per l’Espresso e Mixer) nella guerra russo-cecena era servito a macchinare il futuro sequestro di italiani; che il secondo viaggio (ambedue decisamente rischiosi) era servito a “trionfare come salvatore” dei rapiti e così evitarmi il carcere (per il quale doveva ancora arrivare l’ultima sentenza); che dalla mia cella ero stato mandante di un ulteriore sequestro di un famoso fotografo italiano e della successiva liberazione, sempre a scopo di popolarità; che ero in combutta con i principali titolari del contrabbando di armi, del narcotraffico e dell’industria dei sequestri nel Caucaso, fino al noto Berezovskij, morto male. Eccetera. E che per i tre sequestrati il governo italiano aveva pagato un colossale riscatto. In effetti, per il riscatto erano state presentate richieste lievitate fino ai tre miliardi di lire.

Come racconto per la prima volta nel libro, ottenni, coi miei amici di Intersos, di pagare una specie di rimborso spese di 150 mila dollari, che non vennero dal governo italiano, ma da una rocambolesca raccolta dell’ultimo momento di prestiti privati e di sostegno della più riverita mafia ceceno-moscovita interessata ai buoni rapporti con l’ambasciata italiana. (Che più tardi avrebbe riconosciuto il tutto, senza specificazioni). Questo il succo. Furono meravigliosi viaggi, il favoloso Caucaso, l’orrenda guerra, un fortunato epilogo, che se no sarebbe stato tragico. Ho aspettato ventisette anni, per non mettere in pericolo nessun eventuale superstite. E però la domanda: Ah, perché non son io commendatore?