Vera, la figlia di Anna Politkovskaja - foto LaPresse

PICCOLA POSTA

In Russia delitti infamanti si dichiarano espiati grazie alla guerra provvidenziale all'Ucraina

Adriano Sofri

La storia di Anna Politkovskaja raccontata dalla figlia Vera e le grazie concesse Putin conceda a chi combatte sul fronte

Ieri Vera Politkovskaja ha scritto per Repubblica sulla grazia concessa da Putin a uno dei condannati per l’assassinio di Anna, sua madre, estratto dalla galera dopo aver scontato mezza pena e arruolato per l’Ucraina, lì illustrato per le doti di patriottismo e di valore, promosso graduato sul campo, e scaduti i sei mesi senza crepare definitivamente liberato. Nell’articolo Vera è come abbiamo imparato a conoscerla grazie al suo libro, “Madre”, pubblicato con Sara Giudice per Rizzoli, e in numerose interviste e dibattiti che ne hanno meritoriamente accompagnato l’uscita. (Ieri notte, con la consueta tempestività, Radio radicale aveva rimandato una serie di registrazioni su Anna e Vera, e ricordato ancora il funerale di Anna disertato, oltre che da ogni “autorità” russa, da ogni personalità pubblica europea, con la sola eccezione di Marco Pannella, che ci arrivò evadendo da una clinica). 

Vera ha scritto senza indugiare nell’espressione dei sentimenti di offesa suoi e dei suoi cari, era esattamente quello che ci aspettavamo, ha detto. Anche il libro, che pure riserva uno spazio discreto e toccante agli affetti, si ispira a una misura discreta, e fa ricordare l’affabilità asciutta e impavida con cui Anna trascriveva gli scempi più terribili e i sentimenti più feriti. Ha illustrato, Vera, un florilegio di altre “liberazioni” di detenuti estratti dalle colonie penali e spediti all’operazione speciale d’Ucraina, a morire, che a suo modo è una vera liberazione, o a uscirne con una medaglia di veterani ed esserne promossi a istitutori dei nuovi programmi della scolaresca russa. Alcuni nomi, un torturatore, macellaio, assassino e violentatore postumo, e bevitore finale, della “propria” donna, uno stupratore di due bambine, un assassino di una donna di 85 anni… Delitti efferati e infamanti che a torto si dichiarano “espiati” grazie alla provvidenziale guerra all’Ucraina, perché in realtà costituiscono le più idonee referenze alla battaglia. Fuori dai film, la sporca dozzina, le luride migliaia, sono truppe scelte, e lungi dal riscattarsi cambiando vocazione, non hanno da fare altro che dare più spalancato sfogo alla propria natura

Mi ricordo le pagine di Anna Politkoskaja sui veterani russi della guerra cecena, partiti, loro, da ragazzi e uomini normali, con una normale umanità, rimpatriati mutati nel corpo e nell’anima e buttati via e vilipesi dai mandanti, e spesso indotti a tornare “volontari” in Cecenia, dove almeno restava qualcosa da fare, rubare e uccidere in nome della legge. È quello che ha annunciato di stare per fare il graziato Sergej Khadzhikurbanov. Non è la prima volta che esce dalla galera per compiere una missione gloriosa. La volta scorsa era stata nel 2006, ha ricordato Vera, in tempo per sovrintendere all’assassinio su commissione di sua madre Anna. Un ceceno, naturalmente. Di quel piccolo popolo, il moscerino messo da Allah nell’occhio della Russia, già umiliato e prostituito di sicari e buffoni di corte, al cui più futile adolescente né Putin né Kadirov potranno mai dimenticare di non porgere le spalle. Al ricordo di Anna P. hanno creduto di poterle voltare.

(Ho un’amara postilla. Ieri, quando si registrava la promozione di Khadzhikurbanov per i meriti sul campo ucraino, da Kyiv arrivava la fotografia della statua di Pushkin sollevata da una gru per essere riposta in qualche soffitta della storia. Di tutti i segnali di fatica che vengono dalla capitale ucraina, questo era il più vanesio e il più superfluo. Vera Politkoskaja, solidale com’è con la resistenza dell’Ucraina aggredita, si è impegnata contro la russofobia che ha contagiato i paesi europei ed è arrivata a far chiudere i confini ai russi in fuga dalla loro patria disconosciuta. Qualcuno si illude di estradare Pushkin, di “restituirlo” sdegnosamente ai suoi: un miope regalo all’arruolamento nemico).

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