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piccola posta

Addio a Stefano. Una storia personale

Adriano Sofri

Nella cella accanto alla mia dormivano due fratelli, Maurizio e Stefano, più giovani dei miei figli. Una volta mi salvarono la vita. Sono liberi da anni, ieri Stefano è morto

Torno su una storia nota. Una notte, in galera, mi si ruppe l’esofago, sentii di star morendo. Non avevo la forza di chiamare, picchiai con la mano contro la parete. Nella cella accanto alla mia dormivano due fratelli, Maurizio e Stefano, più giovani dei miei figli, avevamo trascorso insieme anni, era come se fossero miei figli. Mi sentirono. A quel tempo eravamo, sia loro che io, autorizzati ad andare a lavorare fuori di giorno, obbligati a rientrare dalla sera alla mattina. In quella condizione le celle sono aperte – è chiuso il reparto. Uscirono, mi videro, si misero a urlare. Arrivò qualcuno, devo avergli fatto schifo, dissero che sarebbero ripassati. Maurizio e Stefano continuarono a gridare e battere, anche dalle altre celle si unirono. Vennero a prendermi, un medico capì, mi trasportarono d’urgenza in un ospedale, d’urgenza fui operato. Col tempo, si moltiplicano le persone con le quali si è in debito, e anche i momenti in cui si dubita. Marco Pannella, visitatore frequente, che coi due giovani e con tanti altri aveva fatto amicizia – Maurizio era leggendario per il suo caffè alla crema – non avrebbe mai smesso di prendermi in giro, per la mia renitenza oltranzista ai suoi richiami alla vita pubblica: “Vuoi sembrare stanco della vita, ma quella volta hai bussato alla parete, eh!”. Bene, ci sono tornato su perché Stefano è morto, dopo essere stato a lungo malato. Erano liberi da anni, ma Stefano, mi ha raccontato Maurizio, non voleva più saperne. Si era dedicato con un’abnegazione totale a un altro fratello, illeso dai guai con la giustizia, malato a sua volta. Dopo la sua fine, aveva lasciato. Non ha voluto più un muro cui bussare.

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