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La storia di Putin trattativista e Biden guerrafondaio è una balla

Adriano Sofri

C'è una lunga serie di circostanze nelle quali accorgersi che, ogni volta che affiorasse una minima prospettiva di apertura per trattare, il Cremlino si precipitava a tagliare corto. L’ultima è di ieri

Una delle sciocchezze ripetute con la sicumera che viene dal partito preso vuole che l’Ucraina, e rispettivamente gli Stati Uniti e la Nato, siano ostili al negoziato, a differenza dalla Russia, che non vede l’ora. Di fatto, del tutto comprensibilmente, ciascuno dei contendenti diretti e indiretti ha considerato l’eventualità di una trattativa secondo l’evoluzione del rapporto di forze sul campo e nel suo retroterra internazionale.

La presidenza ucraina ha tenuto ferma, con piccole e brevi oscillazioni marginali, la condizione del ritiro delle truppe russe entro i confini precedenti il 24 febbraio dell’invasione, e il proprio diritto a rivendicare la restituzione della Crimea illegalmente occupata nel 2014. La Russia di Putin ha giocato sull’esibizione di una propria disponibilità alla trattativa e sulla denuncia dell’intransigenza assoluta dell’Ucraina, con una cinica ipocrisia, fissando intanto condizioni insuperabili. Principale fra le quali la frettolosa indizione e attuazione dei referendum truffa, che dichiaravano parte perpetua del territorio russo, della madrepatria, le due regioni del Donbas, Donetsk e Luhansk, già proclamate alla vigilia dell’invasione – benché occupate solo in parte dalle forze russe e filorusse – e altre due, Zaporizhia e Kherson, frutto dell’avanzata dei primi giorni dell’invasione russa. Grottescamente, perché Kherson, occupata senza colpo ferire per la mancata difesa dei responsabili locali, e tappa della agognata marcia russa su Odessa, sarebbe stata riconquistata presto dalla controffensiva ucraina. E perché l’oblast’ di Zaporizhia era stata occupata solo a metà, escludendo la stessa città capoluogo omonima. Con la truffa dei referendum Putin rendeva non negoziabile l’annessione delle quattro regioni – che non aveva – perché il rischio di perdere parte del “territorio della madrepatria russa” vale ufficialmente nel suo “diritto” come una “minaccia esistenziale”. Pagliacciata sfrontata, precedente al solenne impegno di Zelensky a escludere un negoziato che non prevedesse l’integrità dei confini legali del paese, e ignorata dagli equidistanti sedicenti e dai pacifisti scandalizzati dall’intransigenza ucraina.

Ora costoro hanno avuto una serie di circostanze nelle quali accorgersi che, ogni volta che affiorasse una minima prospettiva di apertura a trattative, il Cremlino si precipitava a tagliare corto. L’ultima è di ieri, e il suo significato è sotto gli occhi di tutti, purché si voglia vedere. La Russia ha escluso drasticamente ogni possibilità di una tregua, sia pur la più simbolica ed effimera come quella ventilata per la Pasqua ortodossa, e altresì, drasticamente e sprezzantemente, qualsiasi possibilità di negoziato in tempi prevedibili, “non esistendone alcuna condizione”. Per fare piazza pulita, ha anche bocciato nella culla la remota possibilità che il Macron reduce dagli affari di Pechino e cavaliere di ventura della terza via europea – buona idea, magari da enunciare un po’ più lontano dall’aereo di ritorno dalla Cina – si illudesse di farsi comunque mediatore: bocciato preventivamente senza riparo (e avvisata, sia pur con la circospezione dei vili, la Cina e Lula, se intendessero sporgersi troppo dal finestrino).

Putin ha avuto il tempo per rinfrescarsi e massaggiarsi nell’angolo dopo i round in cui era andato molto vicino al KO, e ora il suo piano riconvertito ha bisogno di far durare la guerra e renderla endemica, il tempo per allargare le crepe nel suo occidente collettivo, tanto più che una serie di contingenze, a cominciare dalle perdite nell’intelligence americana, gli offrono un vantaggio relativo in un momento cruciale. Così i suoi bombardieri, avvisati della penuria antiaerea ucraina, volano allegramente come in un cielo siriano. Quanto agli Stati Uniti, non possono abbandonare la partita, né frenare vistosamente, a questo punto del conflitto sul campo, e hanno bisogno che si compiano progressi consistenti in favore dell’Ucraina, ma fino ad allora saranno, ben più che i manovratori di una guerra per delega condotta dagli ucraini sul campo, il retroterra obbligato della tenacia militare e civile degli ucraini. Le cose stanno, al momento, esattamente all’opposto di quello che la sicumera del partito preso dei narcisisti arrendisti rifischietta: un Putin generoso trattativista, un Biden ottuso guerrafondaio, e gli ucraini marionette votate al sacrificio.

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