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La caricatura della guerra permanente è un azzardo. Un apologo sui fondamentali, e noi

Adriano Sofri

C’è uno grande e grosso che assale uno molto più piccolo e gli tiene il ginocchio sul collo finché quello non dica: mi arrendo! Si fa avanti uno altrettanto grande e grosso dell’aggressore, anzi di più, e lo mette con le spalle al muro. Così forse ci intendiamo sulla "guerra per procura"

Odessa, dal nostro inviato. Che la guerra d’Ucraina prendesse un grado così alto di surrealtà non era previsto. Non era prevista neanche la guerra in Ucraina, tranne che da chi la preparava e da chi gli stava all’orecchio. Ora è diventato plausibile che il regime di Putin sia solleticato dall’idea di una guerra endemica, di uno stato di guerra cronicizzata che diventi la condizione normale dell’esistenza della Federazione russa, e la sua principale motivazione. La Russia esiste per fare guerra all’Ucraina, la guerra all’Ucraina serve a far esistere la Russia. Naturalmente, questa caricatura dell’antica “rivoluzione permanente”, la guerra permanente, è un azzardo. E’ già successo peraltro. La Russia di Breznev, che non aveva molte altre ragioni per durare, invase l’Afghanistan nel dicembre 1979 confidando di averne ragione nel giro di mesi.

Si trovò di fronte una resistenza accanita da parte dei mujaheddin e di una composita alleanza di potenze straniere, e ci restò per quasi dieci anni, esaurendo risorse umane e materiali, e preparando il proprio collasso. La guerra d’Ucraina sembra seguire la stessa traiettoria, ma è già enormemente più costosa per la Russia, prima di tutto in perdite umane e poi in esaurimento di risorse materiali. Dunque l’eventuale programma del Cremlino di rendere endemica la guerra d’Ucraina e di fondarci sopra la propria tenuta, ha l’altra faccia, che è quella di un nuovo crollo dell’impero russo che si pretende di ricostituire. 

C’è poi l’altro aspetto determinante, che questa è la prima sperimentazione di una guerra condotta contro una potenza dotata dell’arma atomica, e più esattamente del più numeroso arsenale atomico del mondo, e incline a evocarne scostumatamente l’impiego. E’ questa inedita condizione a spiegare lo scenario altrimenti solo grottesco di reciproche limitazioni o estensioni progressive nel repertorio militare. Non sarebbe altrimenti puramente farsesco che la coalizione che sostiene l’Ucraina badi a impedire che l’esercito ucraino possa colpire all’interno del territorio russo, dal quale la Russia colpisce ininterrottamente all’interno del territorio ucraino? 

Scrivo mentre a Ramstein si decide un nuovo dosaggio delle forniture d’armi, d’intelligenza e di addestramento da parte della coalizione cosiddetta (arbitrariamente) occidentale. Il dosaggio riguarda anche la famosa questione della guerra per procura: cioè la suddivisione delle quote secondo cui la Nato conduce una guerra per procura degli ucraini, o secondo cui gli ucraini conducono una guerra per procura della Nato. Ce n’è abbastanza per far aggiornare il desiderio primigenio della resa dell’Ucraina alla nuova condizione, raccomandando un negoziato al ribasso. La denuncia è quella iniziale, mascherata da adattamento alle circostanze: è la vittoria della Nato che si vuole, non la difesa dell’Ucraina. 

Ora, a me pare che nonostante la complicazione crescente e l’ansia per un gioco di equilibrio che può da un momento all’altro precipitare, i termini della partita siano immutati. C’è uno grande e grosso che assale uno molto più piccolo e gli tiene il ginocchio sul collo finché quello non dica: mi arrendo!, e non si disponga a obbedirgli. Il pubblico osserva – la cosa infatti avviene in pieno pubblico, telefonini e tutto – e dovrebbe chiamare la polizia, ma una polizia internazionale non c’è, non a caso, perché i grandi e grossi del mondo preferiscono fare da sé. Il pubblico, come succede spesso, ha paura o non è in grado di intervenire con una adeguata forza a soccorrere il soccombente e fermare l’aggressore. Si fa avanti uno altrettanto grande e grosso dell’aggressore, anzi di più, e lo mette con le spalle al muro. Il pubblico non può, sul momento, controllare le credenziali dell’intervenuto: sul momento bisogna impedire che l’aggredito soccomba fatalmente. E se l’intervenuto avesse bisogno di una mano, ora dal pubblico si può realisticamente pensare di dargliela. 

E’ un apologo troppo rudimentale? E non rischia di far cadere tutti, pubblico compreso, dalla padella della bastonatura dell’aggredito alla brace della bastonatura universale? Be’, intanto si deve levare dalle grinfie dell’assalitore il disgraziato che le sta buscando. E solo poi ci si chiederà se il soccorritore non rischi alla lunga di rivelarsi più prepotente e manesco dell’assalitore. Ci si chiederà cioè se il regime praticato e promesso dalla Federazione russa di Putin sia migliore o peggiore di quello dei paesi della Nato. 

Basta così: gli apologhi devono pur finire.

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