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La condanna tutta politica di Khalida Toumi Messaoudi, militante algerina

Adriano Sofri

Ministra della Cultura in Algeria fra il 2002 e il 2014, è stata condannata il 7 aprile scorso a sei anni di carcere dopo averne trascorsi due e mezzo in attesa del processo. Femminista, aveva detto a Roma nel '97 che l'Italia era l'eccezione in "un mondo che sembrava non voler vedere nulla"

Khalida Toumi Messaoudi, militante algerina, femminista, è stata ministra della Cultura fra il 2002 e il 2014, nonostante l’opposizione dichiarata al regime di Bouteflika che la condusse infine alla rottura. E’ stata condannata il 7 aprile scorso a 6 anni di carcere dopo averne trascorsi due e mezzo in attesa del processo. Era accusata di malversazione per la conduzione delle iniziative su Algeri capitale della cultura araba (2007), sul festival panafricano (2009) e Tlemcen capitale della cultura islamica (2011), manifestazioni che avevano procurato al paese prestigio e ammirazione senza pari.

Khalida ha sempre respinto le imputazioni, documentato il proprio comportamento – gli ispettori del ministero delle Finanze avevano verificato la sua gestione alla fine di ogni anno finanziario, e le avevano sempre rilasciato l’attestazione di regolarità – e denunciato il carattere politico dell’accusa. Lo ha rifatto in un discorso vibrante lo scorso 3 marzo in Aula, orgogliosa rivendicazione del proprio operato per la cultura e la convivenza civile algerina.

Nata in Cabilia nel 1958, Khalida ha studiato all’École Normale Superieure, si è laureata in Matematica, è stata insegnante fino al 1993. Fu ferita nel 1994 in una manifestazione per la pace. In prima fila nella lotta contro il codice patriarcale e per i diritti delle donne, si batté arditamente contro la feroce campagna islamista del Fis, il sedicente Fronte islamico di salvezza, che trasformò l’Algeria in un mattatoio. Ospitata a Roma nel 1997, alla Camera dei deputati, per il Premio Internazionale Alexander Langer, spiegò che cosa volesse dire, per le militanti come lei, “quando vivevamo anni di furore, d’inferno sulla terra, circondate da un mondo che sembrava non voler vedere nulla, voler ascoltare solo quelli che avevano scelto il terrore. L’Italia fu l’eccezione”.

Nella lunga attesa del processo a Khalida era stata rifiutata la libertà provvisoria con la motivazione del rischio di fuga all’estero: a lei che era restata in patria clandestinamente anche quando due fatwe degli assassini jihadisti l’avevano condannata a morte. Dal carcere, si era appellata alla presidenza della Repubblica di Abdelmadjid Tebboune, già primo ministro, eletto sulla scia del Hirak, il movimento per la democrazia cui Khalida diede il suo pieno sostegno. Il presidente Tebboune la conosce bene, e bisogna augurarsi che almeno ora, svolto il processo, voglia usare della propria autorità per restituire alla libertà una donna che per la libertà si è battuta con le azioni e gli scritti guadagnandosi l’ammirazione di tanti, in Algeria e fuori. 

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