Lo sgombero della protesta contro il green pass a Trieste (Ansa)  

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Lo sgombero di Trieste è stato sbagliato: una lezione per Draghi

Adriano Sofri

La repressione poliziesca era del tutto evitabile: la manifestazione al varco triestino si stava esaurendo per debolezza interna e per lo svuotamento progressivo del protagonismo dei portuali. Attenzione a che il dirigismo non si trasformi, almeno come sentimento diffuso, in autoritarismo

Vorrei spiegare perché lo sgombero di polizia a Trieste mi è sembrato, oltre che doloroso, grossolanamente sbagliato. Un coronamento di una sequenza di fenomeni diversi e ambigui, che non dovevano saldarsi. Gli ostili al vaccino, la posizione più incresciosa, comprensibile solo come una paura e una diffidenza privata da amministrare privatamente, erano tristemente confluiti negli ostili al green pass, sentendosi così autorizzati a inalberare la propria privata renitenza come una bandiera di cui andar orgogliosi: di libertà, anticonformismo, minoranza resistente. Alla saldatura lunedì si è aggiunto l’ingrediente finale, la repressione poliziesca. Era del tutto evitabile. La manifestazione al varco triestino si stava esaurendo per debolezza interna, per lo svuotamento progressivo del protagonismo dei portuali (minoranza dall’inizio) e la prevalenza di No vax/No green pass esterni: destinati, l’uno e l’altra, a prosciugare la simpatia dei triestini, indisposti a propositi che mettessero in forse la solidità del porto e della sua conduzione, il pilastro della vita economica cittadina.

La mobilitazione, seguita con un’adesione dai toni commossi ed epici da un numero notevole di persone in tutta Italia, anche al di là dei suoi slogan, come una ribellione di David contro il Golia statale, precipitava verso la farsa, come nei visitatori di poco rango e del tutto svalvolati. Lo stesso Puzzer (ribadisco, simpatico e travolto da un guaio molto più grosso di lui) dopo un patetico passo falso aveva fatto, o aveva subìto, il transito dall’aspirazione alla rappresentanza magnanima dei portuali a quella banale del vago movimento no green pass: la più netta delle sconfitte (fra i pregi che mi preme sottolineare dello sbaraglio di questi giorni sta la fierezza con cui si sono sentite pronunciare frasi come: “Sono un facchino”, “Sono uno scaricatore di porto”). La mattina di lunedì ha mostrato, assieme alla meritoria nonviolenza dei manifestanti, una faccia, quella della preghiera e del rosario, stridente con una laica lotta sociale, e introdotta dalla più caratteristica comparsa neofascista della manifestazione.  

Per giunta lo sgombero è avvenuto mentre era in corso il ballottaggio elettorale, che lo rendeva almeno imprevedibile. La fretta lo ha mostrato come una deliberata prova di forza. Bisognava riparare alle recenti e brucianti prove di debolezza? Mi pare che le si sia replicate. Segnalo un’impressione: che Mario Draghi, padrone finora incontrastato della scena politica ed economica per manifesta inferiorità tecnica, non padroneggi altrettanto quello che si muove al pianterreno della società, e che esige una competenza peculiare, speculare a quella di chi maneggia la finanza – la competenza di chi non la maneggia, appunto. Prima di questa ultima turbinosa fase, Draghi si era guadagnato l’ostilità sorda dei capipopolo provvisoriamente retrocessi al mugugno e l’ostilità petulante dei nostalgici dello statista Conte: poteva alzare le spalle. Ma la mobilitazione anti green pass ora completata dagli idranti triestini ne ha fatto il bersaglio primo di quella ampia minoranza. È diventato il suo nemico, e il dirigismo che lo contrassegna va mutandosi di fatto, o almeno in un sentimento diffuso, in autoritarismo. La ricreazione è finita...

Ma quello che va avvenendo oggi, ammesso che sia l’annuncio di una fine, non viene dopo una ricreazione, ma dopo un biennio durissimo, mortificante ed esasperante per tantissime famiglie. Mortificazione ed esasperazione si cercano varchi, come quello improvvisato sul molo triestino. E sono del tutto estranee alla testimonianza del voto. L’astensionismo elettorale è oggi molto meno una pigrizia o un rigetto qualunquista, e molto più una minacciosa rivendicazione di inimicizia. Il risultato del voto è positivo, perfino a Trieste, dove è arrivato vicino a rovesciare la previsione, ma il subbuglio confuso che attraversa la società non ci ha niente a che vedere (Trieste aveva anticipato la tendenza da anni, con elezioni aggiudicate da meno della metà degli aventi diritto).  

Sono successe, nei giorni scorsi, due cose orrende: l’invasione e la devastazione della Cgil, e le parole contro Liliana Segre in una piazza imperturbata, a Bologna e nell’anniversario della razzia del ghetto. Poi c’è stata una reazione. Ma c’è una parte, una notevole minoranza (aggettivo e sostantivo hanno ciascuno il proprio valore) che ha preso una strada distante dalla buona memoria storica, e anzi insofferente a essa come a una trappola. Chissà se qualcuno avrà intelligenza sufficiente a riannodare qualche filo.