Ratko Mladicć al tribunale dell'Aia (Ansa) 

piccola posta

Il confronto possibile tra Srebrenica e i massacri dello Stato islamico

Adriano Sofri

La sentenza dell'Aia contro Ratko Mladicć, il "macellaio di Bosnia", potrebbe essere una notizia tra tante. Una disattenzione dovuta alla tendenza a minimizzare gli avvenimenti della ex Jugoslavia? La barbarie dei nostri vicini di casa che ci chiama in causa perché "europea"

Non è una grande idea lamentare lo scarso spazio assegnato a una notizia: gli spazi sono pochi e intasati, le notizie tante. Quella della sentenza dell’Aia di una settimana fa contro Ratko Mladicć una delle tante: dopotutto si trattava di un appello, che ha confermato la prima condanna – per genocidio, crimini di guerra e altri delitti odiosi – e da parte di un tribunale ormai esausto, perfino nel nome: “Meccanismo residuale per i tribunali penali internazionali”. Avevano fatto appello sia la difesa del “macellaio di Bosnia”, sia la Procura – retta dal 2008 dal belga Brammertz – che chiedeva l’estensione del crimine di genocidio anche alle operazioni di “pulizia etnica” in altri centri bosniaci nella prima fase della cosiddetta guerra civile. L’unica novità dell’appello, largamente annunciata, è stata il dissenso ostentato della giudice presidente, Prisca Matimba Nyambe, zambiana, che aveva espresso più volte pareri incresciosi in favore dell’imputato, diventata così l’eroina del nazionalismo serbista a Belgrado e a Banja Luka. Il giudice presidente del primo grado, nel 2017, l’olandese Alphons Orie, aveva commentato: “I crimini commessi vanno annoverati fra i più odiosi che l’umanità abbia mai conosciuto”. 

 

Ma la disattenzione italiana verso la notizia ha un significato più profondo. Sono ancora molti a minimizzare o a guardare con fastidio gli avvenimenti della ex Jugoslavia, e della Bosnia-Erzegovina specialmente, se non altro perché furono moltissimi, persone, fazioni politiche e governi, a minimizzarli mentre accadevano, quando non a parteggiare per gli aggressori nel lunghissimo massacro, tra il 1992 e il 1995. Vorrei, a postillare l’ultima sentenza, – una pietra sopra Mladic che si aggiunge a quella su Karadzic, che oggi sconta la sua pena definitiva, immaginate, all’Isola di Wight – fare un paragone. Vorrei paragonare la guerra serbista di Miloševicć, Karadzicć e Mladicć a quella dell’Isis-Daesh, lo Stato islamico, che ha infuriato fra Siria e Iraq dal 2014 al 2017. Il confronto sembrerà impossibile, o paradossale. L’Isis alzava la bandiera del jihadismo islamista mentre la crociata serbista, cristiana ortodossa, muoveva contro la Bosnia slava ma a maggioranza musulmana di Sarajevo. Ma è proprio questa apparente inversione a rendere prezioso il confronto. Srebrenica, i più di ottomila maschi, mariti e figli e padri e nipoti, strappati all’abbraccio delle donne e dei bambini, rastrellati, portati ai luoghi delle esecuzioni e scaricati nelle fosse comuni, e le donne e le ragazze violate, anticipava le imprese degli eroi dello Stato islamico, specialmente con la gente yazida del Sinjar. E la comunità internazionale veniva in ambedue le occasioni beffata e terrorizzata metodicamente: personale dell’Onu rapito e legato ai pali sul Trebević, l’intero presidio olandese sequestrato e umiliato a Potočari, dove oggi sorge il gran cimitero cui ogni anno si aggiungono ossa ricomposte.

 

C’è una differenza, certo: che i serbisti non promuovevano il terrorismo a Parigi e nelle altre città d’Europa. Del resto non ne avevano bisogno, perché in quelle città avevano contato sulla complicità o sull’inerzia – tanto più oscena quando si faceva scudo di un presunto antifascismo del nazionalcomunismo serbo. Si lasciò spadroneggiare per anni una ferocia spietata e compiaciuta, finché non si ricorse all’unica arma che i ricchi impiegano (finora) contro i banditi fanatici e agguerriti, il ricorso agli aerei. Qui, se una differenza c’è, è tutta a nostro svantaggio, perché la barbarie dell’Isis spadroneggiò sul vicino oriente depravato dalle sue dinastie, mentre quella di Karadzicć e Mladićc era europea, era la nostra vicina di casa, era di casa. E oggi i selezionatori degli uomini dalle donne per le carneficine di Srebrenica ci vivono, nel paese che “la pace” ha assegnato all’entità serbo-bosniaca, e le famose madri di Srebrenica sopravvissute li incontrano alla fontana, e vedono sui muri i manifesti con la faccia di Mladicć salutato come il liberatore. 

 

So che il paragone è fastidioso. Costringerebbe ad addebitare a una fazione cristiana stupri etnici, torture, massacri, canti e cecchinaggi, con un di più di ubriachezza molesta, boccone troppo più indigesto che addebitarli a una fazione islamista. E’ fastidioso, infatti.

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