Le riprese dello zio di Saman Abbas (Ansa) 

piccola posta

Umani in movimento in una stazione. Come avessero una pala in mano

Adriano Sofri

Abbiamo imparato che persone normali filmate per caso possono nascondere un crimine orrendo. Così gli assassini di Saman Abbas, i suoi tre uomini di casa. Un'esperienza che condiziona l'immaginazione

Giovedì c’era una fotografia sul sito del Foglio. Non c’entrava strettamente con l’articolo cui era accostata. Era questa:

 

Photo by Timon Studler on Unsplash 

 

Ho sussultato appena l’ho vista, prima di avere il tempo di pensare. Dentro di me era esplosa una domanda inarticolata, solo dopo, per afferrarla e addomesticarla, l’avrei tradotta in parole: hanno la pala? Stanno andando a scavare una fossa? 

 

Una fotografia innocente, semplicemente presa dall’alto, con sagome scure di persone in movimento o ferme, sfuocate o nitide, donne e uomini, come in una stazione di metropolitana.  Che impressione aveva fatto il fotogramma delle telecamere di sicurezza coi tre famigliari e la pala, dunque. Vedere è un altro modo di capire e, appunto, immaginare. In quel video, si immagina terribilmente la ragazza Saman Abbas – Layla – proprio perché non c’è. E’ lei la protagonista, è la sua storia – e lei non c’è. Ci sono zio, con la pala, padre, cugino – distanti di qualche metro l’uno dall’altro, “andiam, andiam, andiamo a lavorare”. “Abbiamo fatto un bel lavoro”, si diranno al telefono. Lei, bisogna immaginarla che sapendo tutto cammina accanto al suo assassino, o appena davanti a lui: come lui le avrà ordinato di fare. Sapendo tutto. 

 

Dopo, guardando una fotografia presa dall’alto, con sagome scure di umani in movimento, prima di metterla a fuoco, prima di avere il tempo di pensare in parole, si sussulta, come per un agguato. Perché dentro di sé si è appreso che delle figure umane riprese per caso possono star facendo questo. Tre pakistani musulmani a Novellara. Tre uomini di casa, padre cugino e zio.
 

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