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I monumenti abbattuti e la memoria

Adriano Sofri

Non c’è un principio cui sperare di far attenere i popoli nei confronti della storia

La storia, lo studio del passato, è letteralmente un monumento. Nei suoi momenti più esaltati, la rivalsa contro il passato non si accontenta di abbattere alcuni monumenti particolari, ma cerca di fare tabula rasa della storia. Il suo “uomo nuovo” non ha precedenti e non vuole averne. Abbiamo assistito a queste sfide smisurate, dalla Grande Rivoluzione francese in poi, fino alla Cina della Rivoluzione culturale, la Cambogia dei Khmer rossi, e possiamo guardare ai nuovi episodi di demolizione o decapitazione delle statue con un maggior distacco. Il fatto è che anche ciascuno di noi ha un proprio personale passato, una propria storia, e quanto più è lunga – nella nostra longeva parte di mondo è mediamente lunga – tanto più è stata intrisa di pregiudizi. La Costituzione, che ha anche lei la sua età, stabiliva che tutti i cittadini fossero uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali e sociali. Ma non è stato così, per nessuno di noi o quasi. Ciascuno di noi – bastava essere maschio, per esempio – è cresciuto senza riconoscere i propri pregiudizi di sesso, razza, lingua, religione e distanza sociale, e li ha superati, quando ne è stato capace, molto lentamente e attraverso vere rivelazioni. Ma anche la legge ha fatto una gran fatica ad applicare quel principio costituzionale, e ancora non ha finito e del resto non finirà mai, e conosce anche retrocessioni. 

 

Si era appena rassegnata a far votare le donne, e ci ha messo decenni a far entrare le donne in magistratura, o nella professione militare, a cancellare il delitto d’onore… Nella nostra vita pubblica e in quella privata, di noi vivi al momento, abbiamo eretto altrettanti monumenti piccoli o grandi che, alla luce di quello che crediamo giusto oggi, dovremmo abbattere clamorosamente. Non lo facciamo, naturalmente, salvo che diventiamo dei fanatici e compiaciuti convertiti; possiamo prenderne le distanze e provare a capire com’è andata e a chiederci come sta andando e a fare attenzione a come andrà ancora. Dunque anche con le storie comuni, anche con la storia dell’intero genere umano, che è andata sempre più ravvicinandosi, possiamo usare, se non un’indulgenza (sì una pietà) una comprensione. Abbattere qualche monumento davvero insopportabile, accostare a qualche altro una buona didascalia, continuare a onorarne altri.

 

A Bolzano c’è un esempio prezioso, sulla facciata dell’ex Casa del Fascio. Si è conservato il colossale bassorilievo col Duce a cavallo e l’epopea fascista e il motto “Credere obbedire combattere”, e si è sovrapposta sul frontone una scritta luminosa tratta da Hannah Arendt, in italiano, tedesco e ladino: “Nessuno ha il diritto di obbedire”. Questo è avvenuto tardi, nel 2017, e a mente fredda, per così dire. Altro affare quando il popolo si desta e va ad abbattere le statue odiate, a furor di popolo appunto, come avviene di nuovo in questi giorni in nome di George Floyd. Ma anche il furor di popolo non è un criterio sufficiente cui affidarsi: anche la guerra scatenata a ogni vestigio del passato dalla rivoluzione khomeinista fu popolarissima. Non c’è un principio cui attenersi, cui sperare di far attenere i popoli, nei confronti dei monumenti e della storia in generale. A volte, non di rado, interviene la famosa astuzia della ragione. Statue vengono impetuosamente abbattute, ma resistono gli stivali, a Budapest o a Luanda… I monumenti agli stivali, anche quando si perde la memoria di chi li aveva indossati, sono forse la lezione più pregnante della storia maestra di vita. Con una riserva, oltretutto: che potranno servire per il prossimo titolare. Economia, Orazio, economia!

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