Foto tratta dal profilo Facebook di Lorenzo Orsetti

Se nostro figlio fosse Lorenzo Orsetti

Adriano Sofri

Nessuno deve sentirsi incoerente o pusillanime perché ammira il giovane, tutti dovrebbero sentirsi corresponsabili dell’inerzia, dell’indifferenza di chi ha lasciato imperversare una violenza fanatica e brutale

Naturalmente, ogni volta che rendiamo onore a giovani uomini (e donne) come Lorenzo Orsetti, ci chiediamo se vorremmo che nostro figlio, nostro nipote, facesse lo stesso, partisse per battersi in difesa dei suoi e nostri ideali. Non vorremmo, cercheremmo di dissuaderli, di tenerli di qua, dove la guerra non è arrivata se non in qualche feroce assalto terroristico, affare di polizie. I genitori di Lorenzo-Tekoşer, hanno detto di essere orgogliosi del proprio figlio, e di aver cercato di dissuaderlo, di avergli chiesto di tornare. I due sentimenti stanno bene insieme, il desiderio di tenere il proprio ragazzo al riparo e l’orgoglio per la sua coerenza coraggiosa.

 

Non tocca ai volontari internazionali difendere il mondo, e la nostra parte di mondo, dall’aggressione del fanatismo islamista. Tocca, dovrebbe toccare, a una polizia internazionale, e a quel surrogato ipocrita e inceppato che ne possono fornire le Nazioni Unite. Dunque nessuno qui e ora deve sentirsi incoerente o pusillanime perché ammira il giovane che è partito sapendo di mettere a repentaglio una vita che amava, e non ne segue l’esempio. Né perché si augura che suo figlio, suo nipote, i suoi ragazzi, donne e uomini, non seguano un esempio così temerario. Tutti, però, dovrebbero sentirsi corresponsabili dell’inerzia, dell’indifferenza, verso l’omissione di soccorso o la vera complicità con una politica di potenza che lascia imperversare per anni una violenza fanatica e brutale, centellina il sostegno a chi le si oppone a prezzo della vita, e lo abbandona all’agguato decretando che la guerra è finita.