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"Quelli come Salvini ci chiamano zecche ma noi abbiamo preso le armi contro l'Isis"

Daniele Raineri

Intervista a un'italiana che si è arruolata nelle forze curde con Lorenzo Orsetti per combattere lo Stato islamico

New York. “Il cordoglio generale per la morte di Lorenzo Orsetti in Siria mentre combatteva contro lo Stato islamico è un dovere – dice Maria Edgarda Marcucci detta Eddi, che si è arruolata nelle stesse unità combattenti curde tra il 2017 e il 2018 – ma i politici come Salvini che per anni si sono riempiti la bocca con la minaccia dell’Isis e che hanno fatto propaganda e che hanno sciacallato sugli orrori commessi dall’Isis sono gli stessi che ci chiamano ‘zecche’, ‘figli di papà’ oppure ‘quelli dei centri sociali’, mentre siamo tra coloro che sono andati a combattere contro lo Stato islamico e a sostenere la lotta di un popolo oppresso. Le persone che sono partite sono le uniche che hanno preso le armi contro quel nemico dell’umanità che è lo Stato islamico, mentre i politici restavano al sicuro a prendersela con i musulmani per i loro fini senza dire che l’islam non ha nulla a che vedere con l’ideologia dell’Isis. E infatti migliaia di musulmani sono morti combattendo contro l’Isis. Anzi, quei politici di fatto danno una mano agli estremisti perché è provato che le persone che in Europa si sono unite all’Isis erano staccate e isolate dalle comunità musulmane, dove c’è una comunità bene integrata quei fanatici non ci sono. Eppure quei politici ostacolano ogni forma di solidarietà”.

  

 

Cosa ne pensi del fatto che secondo il pm di Torino sei “socialmente pericolosa” e che per la legge non c’è distinzione tra chi parte per combattere contro l’Isis e chi parte per arruolarsi con l’Isis? “Dipende di quale società stiamo parlando. Davide, Paolo, Jacopo, Fabrizio e io non siamo pericolosi se stiamo parlando della società che ogni giorno soffre e resiste, siamo ‘pericolosi’ invece se parliamo di una piccola parte privilegiata della società perché siamo testimoni di un’alternativa e abbiamo visto nel periodo passato in Siria che un modello differente può funzionare e che un altro mondo è possibile. In questo senso, la rivoluzione in Siria è un patrimonio dell’umanità intera”.

 

Per essere chiari: la rivoluzione dei curdi o quella siriana in generale? “Quella curda, l’altra fu un’insurrezione di breve durata nel 2011 che è finita preda di bande jihadiste”.

 

Questa esperienza in Siria però potrebbe avere conseguenze penali. “È la contraddizione che dicevo prima. Il ministro che dice di pregare ‘per Lorenzo Orsetti ucciso da infami assassini’ è lo stesso che comanda i poliziotti che hanno condotto le indagini per chiedere la sorveglianza speciale. In questo paese si può dire una cosa e il giorno dopo farne un’altra. Perché qui la politica è privilegio, invece che essere responsabilità e dovere”.

   

Il progetto curdo in Siria ha molti nemici, dalla Turchia fino al governo siriano di Bashar el Assad che ha appena annunciato di volersi prendere con le cattive il territorio controllato dai curdi, credi che abbia un futuro? “Sì, perché è un progetto che funziona bene per milioni di persone, che già ci vivono adesso, è un progetto inclusivo che permette a tutti i popoli siriani – e sono tanti, curdi arabi, circassi… – di vivere assieme anche se sono diversi. E c’è un’altra ragione sostanziale: il coraggio e la determinazione. Non faranno un passo indietro, l’abbiamo visto a Kobane (il cantone assediato dallo Stato islamico nell’inverno 2014, teatro di una battaglia furiosa che durò mesi) come ad Afrin, fronte su cui Lorenzo ha combattuto”.

  

E della lotta delle donne, che cosa puoi dire visto che hai fatto parte delle unità combattenti curde formate da donne? “Sono le persone più straordinarie che abbia mai incontrato, capaci di mantenere un’immensa etica persino in guerra. C’è una differenza sostanziale con l’Isis e c’è una differenza anche con la società capitalista, perché dovunque c’è un grado di oppressione comincia dalle donne. La condizione delle donne, e questa è una cosa che si verifica sempre e dovunque, è dove comincia l’oppressione qualsiasi sia la sua forma”.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)