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La destra e il qualunquismo allungano la vita a Berlusconi

Adriano Sofri

Nei due mesi e passa di pagliaccesche consultazioni sul governo, l’eventualità di un accordo Di Maio-Salvini è passata universalmente come la più ovvia conclusione. E tutto questo ha rinvigorito il Cav.

Berlusconi è tutto rotto. Da processi e sentenze, e soprattutto dagli indimenticabili rapporti originari con Cosa Nostra. Da un bilancio infimo dei tanti anni in cui ha tenuto il governo. Dal contrasto fra il suo buffo libertinismo privato, quando non grottesco, e il bigottismo pubblico della sua corte politica sul fine vita altrui. In politica Berlusconi è da tempo un sopravvissuto, e per il resto – il resto è la vita – è vivo, ha quasi 82 anni, è incandidabile, recita il vecchio copione con la fatica di certi veterani dell’avanspettacolo ammessi a far da spalla al nuovo primattore, mimandone la parte con le mani e infilando nel congedo uno sberleffo alla propria memoria. Forse sbaglio, penso che Sorrentino gli abbia dedicato il film per questo, come a un vivo e tramontato. Improvvisamente, mentre si avvicinava la campagna elettorale politica, una voce corse irresistibilmente attraverso giornali e teleschermi: il Ritorno di Berlusconi, l’Incredibile, Ennesima Resurrezione di Berlusconi.

 

A vociare così era comprensibilmente il mondo dei berlusconiani, nelle speranze dei quali il miracolo del Berlusconi redivivo coincideva col proprio ritorno, grosso medio o piccolo, a seconda dei posti già occupati e nuovamente occupabili. Ma ancora più stentoreamente la voce era annunciata dagli opposti, i lunghi usufruttuari del core-business, da Marco Travaglio in giù. Già allora, e sempre più man mano che la campagna elettorale procedeva, era evidente a chi non fosse nel business che l’impunito Salvini aveva succhiato la ruota del vecchio Berlusconi e poi l’aveva piantato quando ancora mancava parecchio al traguardo. Il vecchio Berlusconi l’aveva esorcizzato proclamando che chi avesse preso più voti sarebbe stato il leader e il candidato del centrodestra, e poi lo ripeté, tanto più stancamente quanto più gli si impiccioliva davanti la schiena di Salvini in fuga. Sappiamo com’è andata. Nei talk-show che del core-business sono così gran parte, chissà perché, non si chiedeva mai all’ospite se preferisse Berlusconi o Salvini. Si chiedeva di Berlusconi o Di Maio e la risposta carpita e deplorata con scandalo era comunque fondata, non perché uno dei due fosse noto e l’altro no, ma perché uno dei due era finito. Berlusconi o Salvini? Berlusconi era finito e l’altro era il campione della destra più odiosa e cinica, ma anche del grosso del sistema dei media, che nel triviale rialzo demagogico del padrone della Lega aveva recuperato con spettacolari interessi l’eclissi del Renzi rottamatore.

 

Così, nei due mesi e passa di pagliaccesche consultazioni sul governo, l’eventualità di un accordo Di Maio-Salvini (“il governo di destra più a destra dal ’46”, secondo Domenico De Masi ieri, che si era incredibilmente voluto illudere fino all’altroieri) è passata universalmente come la più ovvia conclusione, una vera soluzione “neutrale”, altro che Mattarella e il servizio, e il problema ha girato pressoché per intero attorno alla patetica figura di Silvio Berlusconi. Su cui pesava il veto dei 5 Stelle – “dunque tutto ancora dipende da Berlusconi!” – la pseudo-fedeltà di Salvini, e l’allarme chiassoso di quelli del core-business. I quali sono entusiasti di scovare e denunciare gli occulti compromessi che nella composizione del governo e nella definizione del suo programma sono destinati a salvaguardare Berlusconi, la sua roba e i suoi innominabili interessi. Migranti e asilanti braccati, entusiasmi putiniani, demagogia finanziaria: bazzecole, bagattelle. Proclamano che sul rapporto con Berlusconi si misurerà il giudizio sul novissimo governo e l’illibatezza dei 5 Stelle. Sul “governo di destra più a destra dal ’46”. Questa volta il fantasma di Berlusconi raddoppierà la rendita del core-business, perché permetterà all’ipocrisia delle mosche cocchiere dei 5 Stelle di evitare la certificazione della natura della rivoluzione che hanno propagandato. La destra più destra al governo della società, il qualunquismo più qualunquista al governo dei media. Gli uni e gli altri allungano la vita (politica) a Berlusconi. Del resto l’altroieri nelle elezioni in Malaysia è tornato premier Mahathir Mohamad, 92 anni, il più vecchio capo di governo del mondo: meglio stare in guardia con quel diavolo di Berlusconi.

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