Beppe Grillo (foto LaPresse)

Rivalità e odio tra i Cinque stelle. Peccato

Adriano Sofri
Ho scritto qualche riga sui radicali, me compreso, mescolando serietà e ironia, e sono finite fuori segno, ironia e serietà. Ci tornerò, inshallah, prima o poi. Ora voglio dire una cosa.

Ho scritto qualche riga sui radicali, me compreso, mescolando serietà e ironia, e sono finite fuori segno, ironia e serietà. Ci tornerò, inshallah, prima o poi. Ora voglio dire una cosa. Di tutto il rumore che i Cinque stelle si sono procurati mi interessano poco le bugie, le ipocrisie, le doppiezze, le arroganze, le grettezze, i bigottismi: ovvietà, esaltate dalle pretese dei parvenus di escluderle dalla propria fedina. Mi interessa un altro aspetto: queste persone, giovani per lo più, estratte, meno che a sorte, dalle loro esistenze ordinarie, ricevono in dono una fortuna favolosa come il governo della città di Roma. Reagiscono subito a una simile smisurata fortuna sfrenandosi in reciproche rivalità, slealtà e invidie il cui scotto è la dilapidazione vergognosa dell’intera fortuna. Sembra un laboratorio sperimentale di psicologia di gruppo, o una novella sulla prova cui una ricchezza improvvisa e colossale sottopone un gruppo di straccioni.

 

Roma è così grande che anche a dividerne la cura provvisoria fra milioni di eredi, ciascuno ne avrebbe abbastanza da riempirne le borse fino all’orlo. Invece qui un pugno di improvvisati eredi, quanti se ne contano su una mano o due, fino a poco fa sconosciuti l’uno all’altro, si fanno avidamente le scarpe a costo di perdere tutto e di far perdere tutti. Non è questo il fenomeno più impressionante? Bene. C’è un’altra comunità, abbastanza vasta e abbastanza esigua; molti dei suoi membri hanno un passato comune molto lungo e strenuamente impegnato, e un patrimonio arrischiato da tutelare e continuare: sono i radicali. Un patrimonio che, nel suo piccolo, come la città di Roma è carico di crediti e di debiti. Le persone che formano questa comunità si conoscono intimamente, hanno avuto tanto tempo per concordare e dissentire, litigare e prodigarsi mutuamente, devolvere a cause comuni il proprio egoismo e la propria vanità, non per un’abnegazione della propria personalità come nelle ideologie totali di altri tempi ma per una scelta libera e consapevole.

 

Nel momento del trapasso, in questa comunità varia e aperta, dalla quale pure si esce e si entra, ma si vuole bene a qualcosa che è venuta prima e dovrà venire dopo la propria parte di strada, si scatena una rivalità spinta fino a far trasparire un odio, un risentimento e una cupidigia di esclusione, un po’ mascherati ipocritamente, un po’ ostentati compiaciutamente. E’ tutto umano, troppo umano: i cannibalismi fra sconosciuti estratti a sorte per un premio miliardario, e i rancori fra intimi titolari di un debito e un credito milionario. Peccato però, no?

Di più su questi argomenti: