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La sgrammaticatura costituzionale di Luigi Di Maio

Rocco Todero

Il leader del M5s presentando la lista dei ministri prima delle elezioni, non ha mostrato alcun riguardo nei confronti del Presidente Mattarella. Appunti di diritto costituzionale per editorialisti e costituzionalisti indulgenti e smemorati

Fra i commenti più indulgenti con i quali è stata accolta l’iniziativa di Luigi Di Maio di comunicare  con largo anticipo (e ancora prima dello svolgimento delle elezioni) al Capo dello Stato i nominativi dei ministri che dovrebbero comporre un improbabile Governo a cinque stelle prossimo venturo, sono degni di nota l’editoriale di Massimo Franco, apparso sul Corriere della Sera sabato 24 febbraio, e l’intervista rilasciata dal costituzionalista Michele Ainis su Huffpost il giorno prima.

 

La voce attualmente più rappresentativa di via Solferino ha ritenuto di qualificare l’intraprendenza del Movimento Cinque stelle alla stregua di un gesto di cortesia verso l’istituzione rappresentata dal Sergio Mattarella, mentre il professore di diritto costituzionale ha derubricato l’intera vicenda ad un’attività irrituale ma non formalmente scorretta.

  

E’ noto, tuttavia, come l’articolo 92 della costituzione repubblicana preveda che il Presidente della Repubblica nomini il presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questi, i ministri.

 

La semplice lettura della disposizione consente di potere affermare l’esistenza di una qualche facoltà d’ingerenza dell’inquilino del Colle nella nomina dei titolari dei vari dicasteri.

 

Gli studiosi di diritto costituzionale non sono tutti d’accordo, però, nel riconoscere al Capo dello Stato anche il solo potere di veto all’interno del procedimento di nomina dei ministri, la cui compagine al momento della presentazione al Quirinale dovrebbe di già far presumere il sostegno di una maggioranza parlamentare che il Presidente della Repubblica non potrebbe in alcun modo contrastare.

 

La Carta fondamentale, tuttavia, riconosce al Presidente del Consiglio incaricato solo il potere di proporre i nominativi dei possibili ministri e la storia costituzionale italiana annovera numerosissimi episodi di rivendicazione da parte del Capo dello Stato della facoltà d’intromettersi nella selezione delle personalità che andranno a comporre l’intero Consiglio dei Ministri.

 

Il maggiore rappresentate di questo filone di pensiero e di azione è stato l’indimenticato Presidente Francesco Cossiga che nel 1991 affermava come “Tra le mie competenze c’è la nomina dei ministri: io posso accettare o respingere le proposte presentatemi dal presidente del Consiglio; nel contrasto tra me e il presidente del Consiglio, io resto e il presidente del Consiglio va via”.

 

Ma le cronache costituzionali narrano anche di una lettera del maggio del 1994 con la quale Oscar Luigi Scalfaro ammoniva Berlusconi circa i criteri politici e di onorabilità da seguire nella scelta dei componenti del Consiglio dei ministri, della designazione di importanti ministri del Governo Pella da parte di Luigi Einaudi, dell’interdizione frapposta dal Presidente Gronchi alla nomina dei ministri proposti dal Presidente incaricato Zoli sino a che non fosse stato inserito nella lista il democristiano Gonnella, dell’attivismo di Antonio Segni nel riservarsi dei posti all’interno delle compagini governative di nuova costituzione e della particolare attenzione posta da Sandro Pertini nell’esaminare i curricula che gli venivano sottoposti per le cariche ministeriali.

 

Da ultimo, anche il Presidente Giorgio Napolitano, sebbene in misura minore e con forme del tutto meno eclatanti, sembra avere tentato in un recentissimo passato di negare la nomina al Ministro Saverio Romano (senza riuscirvi) e, stando alle ricostruzioni giornalistiche più accreditate, al Procuratore della Repubblica Gratteri all’interno del Governo guidato da Matteo Renzi.

 

Esiste, dunque, una rispettabilissima dottrina che sottolinea l’estraneità della figura del Capo dello Stato nella definizione dell’indirizzo politico del Governo e quindi nella formazione della compagine ministeriale, ma si registra, altresì, la concreta prassi (inveratasi nella storia delle nostre istituzioni) di numerosi presidenti della Repubblica che hanno rivendicato un ruolo non marginale nella individuazione delle personalità destinate a ricoprire la carica di Ministri che è stato riconosciuto come legittimo dalle forze politiche parlamentari.

 

Come che sia, nel nostro sistema costituzionale è certo che il presidente del Consiglio incaricato (neanche dopo lo svolgimento delle elezioni, la formazione dei gruppi parlamentari, l’elezione dei presidente di Camera e Senato e lo svolgimento delle consultazioni presidenziali) non possa limitarsi a “comunicare” al Capo dello Stato la lista dei ministri che intenderebbe nominare, ma deve discuterla ed individuarla concretamente dopo un approfondito iter istruttorio svolto congiuntamente col titolare del Quirinale.

 

Ed è per queste ragioni che il gesto con il quale Luigi Di Maio ha semplicemente inteso “informare” il presidente della Repubblica dei nominativi delle personalità che vorrebbe assurgessero alla carica di ministri (scelti, ha detto il rappresentate dei cinque stelle “come se Mattarella fosse stato presente”) non rappresenta né una cortesia istituzionale, né una mera procedura irrituale, ma forse qualcosa di ben più grave e più tragicomico.

 

Massimo Franco e Michele Ainis farebbero bene a rifletterci.

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