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Enzo Jannacci è un passato che è presente

Giovanni Battistuzzi

Sono passati dieci anni dalla morte del cantautore. Forse ci vuole davvero orecchio pure con il passato, forse bisogna avere il pacco immerso dentro al secchio, forse bisogna averlo tutto tanto anzi parecchio per fare certe cose, certe cose coi ricordi almeno

Il “giorno che spariranno tutti i rompicoglioni” alla fine arrivò, non ci è concesso di sapere però se lui era davvero “pronto lì a parlare, e con i limoni”. Sono passati dieci anni da quel 29 marzo 2013, il giorno nel quale morì Enzo Jannacci.

   

   

Dieci anni è una bella cifra di tempo, cifra tonda non per questo però capace di fare il giro dei ricordi e chiudere il cerchio. Perché la decina è una cifra di quelle che non sai come pesare. Non ancora almeno, ci vuole più tempo, forse ci vuole davvero orecchio pure con il passato, forse bisogna avere il pacco immerso dentro al secchio, forse bisogna averlo tutto tanto anzi parecchio per fare certe cose, certe cose coi ricordi almeno.

   

       

E quelli arrivano strani, che è pure difficile metterli in fila. Una voce alla radio, la notizia della morte di Enzo Jannacci e ci si accorge che ancora la radio, nonostante internet la tivù e tutte le altre diavolerie ancora ti faceva arrivare le notizie. La radio. Bella invenzione la radio, l’aveva detto più volte Enzo Jannacci, o meglio l’aveva borbottato, perché Enzo Jannacci parlava sì, ma soprattutto borbottava. E borbottava cose che non si capivano del tutto, ma in un modo o nell’altro ti facevano sorridere, un sorriso un po’ spaesato, ma se ha paese un sorriso è parecchio meno bello, sicuramente è poco sincero. E lui alla radio parlava, anzi borbottava soprattutto, ma poi parlava anche. E a lungo, perché era una bella invenzione la radio, diceva lui. E alla radio, quella radio, la mamma delle radio, c’aveva parlato abbastanza per metterci su uno spettacolo di ore per ricordarlo. Anche se non c’era bisogno di ricordarlo uno così, uno come Enzo Jannacci lo si può mica dimenticare.

   

Borbottava, si mangiava le parole e non era alcol o sostanze, neppure vecchiaia o rincoglionimento. Era il suo modo di fare, perché quando c'era da parlare di cose importanti allora scandiva tutto bene, e di cose importanti ce ne erano tante, “tipo il Milan e gli scherzi e le battute e la vita”, tanta e abbondante, ostinata e musicale. Ma fatta assieme. Assieme a chi? Insieme. Perché insieme è meglio, soprattutto se si è insieme a se stessi che altrimenti è insieme vuoto, diceva. E anche se qualcosa non aveva del tutto senso, un senso in un modo o nell’altro ce l’aveva. Anche solo il non averlo. Pure quello. Andava bene pure quello.

 

L’importante era prendere tutto così, “come qualcosa di non abbastanza serio, non mortale almeno, che serio lo poteva diventare pure, ma non in modo serioso”. Anche gli scherzi hanno il loro momento austero, ma questo lo diceva Giorgio Gaber.

 

Perché si può scherzare su tutto, scherzare anche in musica, “sulla musica un po’ meno, ma questo è discorso da musicisti per musicisti e con musicisti. Cosa che gli altri non capirebbero”. Perché non esiste cosa più complessa di un musicista che parla di musica con altri musicisti. Verrebbe voglia di smettere di ascoltare le canzoni. Forse per questo che Enzo Jannacci parlava di musica solo in assenza di altri musicisti. O forse no. Forse lo diceva soltanto e poi invece lo faceva di nascosto.

 

Ed è mica facile smettere di ascoltare le canzoni, quelle escono da ovunque e ti si ficcano nella testa come un Píri-pirí-pirí-pirí-ppíppi qualsiasi. Urgente, crittografico, rapido, cifrato. Píri-pirí-pirí-pirí-ppíppi. 

   

         

Quel che è certo è che Enzo Jannacci è un passato da dieci anni. E ancora c’è qualcuno per cui è un presente da stereo o cuffie, analogico o digitale. C’è pure a teatro. C’è nelle parole di Paolo Rossi nel suo ultimo spettacolo; è un presente che va in scena fuori da ogni zoo comunale; dietro ogni uomo di nome Silvano anche se non più non valevole ciccioli; nei diminutivi di Vincenza, Vincenzina, e poco importa se le Vincenza ormai hanno tante, tutte?, un’età ragguardevole; nelle fabbriche anche se non c’è più Vincenzina e ormai sono sempre più automatizzate; e negli zeroazero del Milan, anche se pure quello sta sparendo, lo zeroazero, sempre più sommerso dai gol.

 

Quel che è certo che alla fine "il giorno che spariranno tutti i rompicoglioni" non è ancora arrivato. Non per tutti almeno.

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