Foto LaPresse

il festival

Più di Mengoni che vince, a Sanremo fa notizia Fedez che nemmeno è in gara

Stefano Pistolini

Il bacio con Rosa Chemical, la foto strappata del viceministro Bignami e gli altri impicci del rapper: ecco la coda polemica e riottosa della kermesse

In un finale che voleva essere trionfale (lo è stato nei numeri aridi degli ascolti), ma che è stato soprattutto sgangherato, Sanremo 2023 viene consegnato alla storia e già la mattina dopo è ridotto a un mucchietto di istantanee. Vince Marco Mengoni e non è una notizia, in quanto ha dominato ecumenicamente le votazioni fin dal primo giorno. Arrivano secondo e terzo Lazza (meritato riconoscimento a una faccia nuova e da schiaffi) e Mr Rain (che invece ha l’aria del personaggio di ripiego, un po’ alla Povia) e ci sono riconoscimenti per Ultimo e Tananai. L’imbarazzante assenza di figure femminili dalla graduatoria è ingiustificata e sorprendente, da attribuire all’identikit dei votanti, soprattutto quelli paganti, perché almeno Madame e Ariete avrebbero meritato un alloro, ma tant’è, e a mettere davvero in fila i valori stanno già provvedendo i contatori dei servizi streaming.

Se però la si vuole dire tutta, alla fine il protagonista di questo festival – bisogna esitare se definirlo volontario o involontario – è stato colui che ha preferito girare alla larga dalla gara, per non rivivere lo stress e le ansie dell’unica volta in cui ha partecipato, ovvero Fedez. E però lo stesso Federico, nel frattempo cresciuto parecchio anche in autorevolezza e rumore social, entrato sempre più nella parte del personaggio pubblico con una missione da compiere e al tempo stesso perennemente imbrigliato nella sua adolescenziale vocazione da maschietto cazzaro, l’unica nella quale riesce finalmente a liberarsi, insomma Fedez ha inanellato una raffica di impicci che resteranno la coda dolorosa, lamentosa, polemica e riottosa della kermesse.

I baci aggravati dalla presenza di lingua con Chemical, il mimare una bella sodomia con lo stesso, le foto ministeriali bruciate sulla nave, il suo anatema anti-Codacons, l’appello per la legalizzazione dell’erba nell’ospitata con gli Articolo 31, le chat ubriache con una consorte sempre più perplessa e distante (Chiara, che invece ha giocato per tutto il Festival la parte della suffragetta, lei in perenne missione nel nome della quota rosa, risultando alla fine perfino dispettosamente stucchevole), insomma Fedez ne ha fatte più di Huckleberry Finn. Ovvero giorno dopo giorno l’ha buttata in caciara, con goffaggine mista a paraculismo, spirito demenziale e incapacità di autocontrollo, gusto della guasconata e fiotti di narcisismo, sana voglia di dire la verità e diplomazia dell’ippopotamo. Un effetto comunque l’ha raggiunto (al di là delle prevedibili audizioni Rai): quello di dimostrare che non tutto, anche su un palcoscenico bonificato come Sanremo, con Amadeus nella parte del garante del buon gusto, non tutto sia prevedibile e ingabbiato e che se uno spettacolo vuole essere veramente tale, il fattore-sorpresa, lo choc - che resta pur sempre solo televisivo e in condizione di narcolessia - ci può essere e può attribuire al tutto un senso d’incertezza e d’inatteso. Lo stesso fattore-scandalo che chi comanda oggi identifica con la provocazione diabolica, col tentativo di delegittimazione, addirittura con l’attacco al vigente ordine morale. Ma di che stiamo parlando? Si può essere seri nel fare simili affermazioni oggi, rivestendo una carica pubblica?

Fatto sta che lo show è andato avanti, ha avuto successo, ha pagato e ha fatto parlare di sé soprattutto grazie a questi scossoni inattesi, capaci di risvegliarci dalle portate soporifere del menù musicale approntato da Amadeus. Il quale è un santo, un navigatore di lungo corso, un maratoneta del tubo catodico che di certo ci invidiano in tutto il mondo, ma che nel ruolo di direttore artistico ha un difetto che questa edizione del festival ha messo in risalto: ha capito che, parlando di musica, si vince solo assecondando i gusti dei più giovani, che costituiscono la massa di manovra significativa di questa industria. Ma al tempo stesso ha sposato l’equilibrismo di dare licenza di partecipazione alla manifestazione solo a coloro disposti ad abbinare la propria freschezza artistica a una proposta musicale ascrivibile al mainstream. Così il nuovo che avanza suona piuttosto vecchio, ed educatamente i migliori talenti sfilati all’Ariston sono stati ben attenti a presentare per l’occasione compitini rispondenti alle richieste. Pochissimi fuori-tema, una diffusa timidezza, troppi “grazie Amadeus”, una quantità inaccettabile di fiori, un eccesso di volemose bene, quando poi tanti di questi artisti hanno una loro purezza fatta di stravaganza, eccentricità, ideazione – e quindi davvero d’innovazione. Ma, come dicevamo, è tutto finito, Mengoni nell’albo d’oro sintetizza il senso della storia, i Ferragnez tornano a casa con qualche livido, un sacco di cose da chiarire e una popolarità della quale forse per la prima volta stanno perdendo il controllo. E noi riprendiamo il ritmo di tutti i giorni: col passare delle ore troveremo sempre più difficile ammettere che, almeno ogni tanto, anche quest’anno col Festival ci siamo divertiti. 

Di più su questi argomenti: