Foto di Ettore Ferrari, via Ansa 

un'apologia

Il senso della critica musicale e un appello alla competenza (specie nel pop)

Federico Capitoni

L'albo fa discutere, ma Beatrice Venezi ha ragione. Un richiamo alla professionalità è necessario. Soprattutto se ci si rivolge alla musica leggera, per cui chiunque crede di poter avere voce in capitolo. Così magari ci inizieremo a fidare degli specialisti

Beatrice Venezi ha ragione. Bisogna fare qualcosa per la critica musicale. Forse per la critica d’arte in generale. In una recente intervista il direttore d’orchestra, consigliere per la musica del ministro Sangiuliano, ha lamentato che con lo smartphone tutti ormai fanno i critici, condizionando le sorti degli artisti, e che quindi ci vorrebbero un albo di critici professionisti e appositi corsi di formazione (che invero già esistono). Di tutte queste dichiarazioni ciò che ha destato più attenzione è ovviamente la proposta di un albo, facendo subito gridare al corporativismo. Il messaggio è forte ma non crediamo che nelle intenzioni della Venezi ci sia quella di un bavaglio, piuttosto di un non peregrino richiamo a una professionalità data dalla competenza. Chissà, se ai loro tempi fossero esistiti internet e i social, i padri della Costituzione avrebbero magari dato un’aggiustatina all’art. 21, ma di certo non si può proibire la libera espressione. D’altronde il giudizio disinvolto e deliberato di chiunque coinvolge ogni campo della nostra vita. Ci siamo forse scordati le pronunciazioni ad libitum da parte di chicchessia riguardo al Covid, ai vaccini ecc.? Se si dice la propria sulla medicina, figuriamoci sull’arte. Tuttavia la questione sollevata da Beatrice Venezi non è di poco conto, e infatti il dibattito si è acceso. 

 

Il punto sul quale il direttore può tranquillizzarsi è che nessun critico può, da solo, “affossare la carriera un artista”; non è più così da anni e forse non lo è mai stato (già Adorno ne dubitava). Se la critica mediocre – cioè quella incompetente, positiva o negativa che sia – può far male a qualcuno, quello è proprio il pubblico. Il compito della critica non è di bandire o promuovere bensì quello di restituire un significato dell’arte all’ascoltatore, allo spettatore, al lettore: se misinterpreta o misvaluta tale significato è cattiva critica e rende un servizio culturale pessimo. 

 

In questo senso la preoccupazione di Beatrice Venezi è legittima e concerne però soprattutto la critica musicale “pop”. Data per assunta l’assurda biforcazione – riguardante peraltro soltanto la disciplina musicale – che vede parcellizzati i settori della critica in musica leggera e musica classica (e poi tertium datur: il jazz), per cui chi va alla Scala non va a Sanremo e viceversa, è molto difficile che chi si occupa della musica cosiddetta “colta” non sappia di cosa parla. È invece comunissimo che il critico di musica leggera, la cui figura storica si è modellata su quella dell’appassionato, non abbia gli strumenti tecnico-teorici per pronunciarsi e che quindi procuri errori grossolani identificando “tempo” con “ritmo”, confondendo “suono” con “tono”, non distinguendo un sintetizzatore da un campionatore. Dal canto loro, molti critici “classici” hanno delle pesanti responsabilità. Se continuano a vantarsi di non conoscere le canzoni dei Beatles o di ignorare, pure con una certa soddisfazione, chi sia Morgan, non soltanto lasciano campo libero a chi è meno attrezzato, ma appaiono ridicoli e vergognosamente fuori dal tempo. 

 

Allora – attraverso magari i corsi auspicati dal direttore? Anche, forse – bisognerebbe generare una competenza fatta di conoscenza della materia su cui ci si esprime, il che finirebbe per formare anche una coscienza critica (la mancanza più grave). Così dei critici s’avrebbe fiducia e tutti prima di parlare (diritto garantito!) si farebbero almeno due conti. Non c’è bisogno di scomodare Boezio e il suo quadrivium, ma al grado di scientificità della musica dovrebbe corrispondere una scientificità della critica che – sebbene la musica sia la forma d’arte dal più alto connotato di ineffabilità – assumerebbe un certo tipo di oggettività tale da giustificare la professione. Altrimenti diventa vero che la denuncia della Venezi rivela una deriva irrimediabile e che quindi, essendo tutti critici, nessuno lo è.

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