Battiato, il più grande artista del sublime cazzeggio

Andrea Minuz

Versatile, curioso e felicemente post-moderno, l'artista siciliano andrebbe preso meno sul serio. Specie ora che è pronto a diventare un tema della maturità

C’è il Battiato kitsch, new age e nazionalpopolare de “La cura” e delle “correnti gravitazionali”. Un pezzo ormai parte del repertorio di “Amici” e “C’è posta per te”, sfoderato nelle esterne di “Uomini e donne” e immortalato da Checco Zalone in “Immensamente Angela” (“Amore, io avrò cura di te, ma non come a quello… a Franco Battiato, la cura a chiacchiere, no, io pagherò, pagherò i migliori dottori”).

 

E il Battiato istituzionale, cantautore dell’amore trascendentale, delle vertigini dell’Io e del lontano oriente – Battiato, come sapete, è morto oggi a 76 anni dopo una lunga malattia – ed è quello che oggi trovate sui social e che all’epoca spianò la strada all’onda travolgente dello yoga, delle catene di mobili etnochic e dei libri di Recalcati.

 

 

C’è il Battiato di “Povera patria”, requiem suo malgrado anticasta e “contro tutte le mafie”, subito riconvertito in talk-show su Rai 2. Il Battiato invitato come ospite alla festa del Fatto che canta in coppia con Travaglio… e ti vengo a cercare solo per farti arrestare. C’è naturalmente il Battiato nannimorettico e struggente di “Palombella Rossa”, e c’è il filosofo-paroliere Manlio Sgalambro, che è stata la Yoko Ono di Battiato.

 

Poi c’è il guru geniale che negli anni Ottanta s’inventa una via tutta italiana, anzi mediterranea al “postmoderno”. Battiato che trova una sintesi formidabile e irripetibile tra la Magna Grecia e Berlino est, il chakra e le tastiere elettroniche, la spiritualità “Adelphi” e le peggiori melodie di Sanremo. Un universo incontenibile con tutta l’appendice dell’immaginario socialista e già post comunista di “Alexander Platz”, “Prospettiva Nevskij”, “Radio Varsavia” (citata anche da Guadagnino nella scena della pesca di “Call me by your name”). Battiato che anticipa le trasferte del Pigneto a Berlino, i viaggi organizzati in Albania, in Slovenia, in Croazia.

 

  

C’è il Battiato degli anni Settanta. Sperimentale, psichedelico, “progressive” e assai concettuale. Quello della “Bla Bla” Records di Pino Massara, di “Pollution”, “Fetus”, “Sulle corde di Ares”. Dischi pazzi, bellissimi, sgangherati. Pezzi che a volte durano diciotto minuti e si intitolano “Plancton”, “Areknames”, “Sequenze e Frequenze”. Un Battiato visionario che arriva a Milano per fare John Cage, si prende non pochi fischi dal pubblico del Leoncavallo, ma incredibilmente piazza anche un disco come “Pollution” al terzo posto in classifica. Era il 1972. Per alcuni, ancora oggi questo è il migliore e l’unico Battiato che c’è.

  

Ma quando l’aria della rivoluzione si ritira e la gente inizia a non poterne più della sperimentazione e del terrorismo e si chiude in discoteca, Battiato si reinventa prima e meglio di tutti: “Siamo figli delle stelle, pronipoti di sua maestà il denaro”. Non è un tradimento, ma un’esplorazione quasi etnografica dentro il campionario degli anni Ottanta, nella cultura del disimpegno, della plastica, del divertimento, della pubblicità. Battiato smonta e rimonta pezzi di canzoni, sigle, jingle. Alto, basso, medio, banale e sperimentale, commerciale e trascendentale. Tutto insieme dentro melodie precise e videoclip di una tristezza improbabile, come a voler rovinare la festa a tutti. Un “pastiche”, come usava dire allora, fatto di testi impenetrabili e vuoti per prenderci in giro nel più intelligente dei modi. Altro che “leggerezza” calviniana! Battiato è stato il più grande artista del sublime cazzeggio del postmoderno (insieme a Renzo Arbore, il più grande “postmodernista” italiano). 

 


Emblema dell’artista isolato, dell’eremita lontano dalle cose del mondo, aveva invece un fiuto incredibile per gli smottamenti anche minimi delle mode, dei consumi, dei tic culturali del paese. La capacità di giocare d’anticipo, volteggiando tra free jazz punk inglese e new wave italiana. Non gli perdoniamo il kitsch sfrenato di “Musikanten”, film con dentro Beethoven e un colpo di stato mondiale presentato in pompa magna a Venezia nel 2005, ma in fondo va bene anche quello. Di Franco Battiato si prende tutto. E andrebbe preso tutto molto meno sul serio. Specie ora che si avvia a diventare un tema della maturità. Però che tracce formidabili già pronte per quest’anno: “La mia parte assente si identificava con l’umidità”. Partendo da questa lirica di Franco Battiato, dal brano “Arabian Song”, proponi una tua riflessione sul percorso interiore del Maestro.

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