All together now
Si litiga, ci si scioglie e poi a volte si torna insieme. Ringo Starr riunisce i Beatles per una canzone del nuovo album. Lennon compreso
L’ex batterista del quartetto ha voluto la canzone nel suo ultimo album da solista. McCartney suona e canta le armonie
I Beatles di nuovo insieme. La notizia è circolata in settimana e non è passata inosservata. I due membri superstiti della band, Ringo Starr e Paul McCartney, hanno lavorato insieme in sala d’incisione a un brano di John Lennon. La canzone, già nota ai lennoniani, è “Grow old with me”, una ballata romantica che l’ex beatle assassinato a New York nel 1980 non arrivò a inserire nel suo ultimo disco “Double Fantasy” ma che finì nel postumo “Milk and honey” sotto forma di demo. Ringo l’ha voluta nel suo ultimo album solista, “What’s my name”, che uscirà il 25 ottobre. L’ex batterista del quartetto la canta, McCartney suona e canta le armonie. E c’è anche qualcosa dell’altro Beatle scomparso, George Harrison, una citazione musicale di una delle più celebri canzoni firmate dal chitarrista: “Jack (Douglas, produttore di “Double Fantasy”, ndr) mi ha chiesto se avevo mai ascoltato i Bermuda Tapes, le demo di Lennon di quel periodo”, ha riferito Starr, in un’intervista al quotidiano britannico Guardian, “ma non le avevo mai sentite... C’è John, ci sono io e c’è Paul. Non è un lancio pubblicitario, è quello che volevo. E gli accordi che Jack ha arrangiato per questo brano, se li ascolti bene, riprendono un verso di ‘Here Comes the Sun’. Quindi si può dire che ci siamo tutti e quattro”.
Il famoso faccia a faccia tra i due, che iniziò così: “Valiant Paul McCartney, I presume?”; “Sir Jasper Lennon, I presume?”
In qualche modo, almeno idealmente, su un disco ci saranno i Beatles tutti e quattro insieme. Più o meno. E’ solo l’ultimo capitolo di un lungo romanzo, quello del sogno nostalgico della ricomposizione della band più influente della storia della musica. Un sogno accarezzato per decenni da fan e discografici. E in qualche modo realizzatosi quasi un quarto di secolo fa, in occasione dell’unica “reunion” ufficiale dei Fab Four, all’epoca purtroppo già Fab Three. Accadde nel 1995, quando in concomitanza con l’uscita di un gigantesco progetto chiamato “Anthology”, che si componeva di tre dischi doppi di inediti, materiale da bootleg, registrazioni scartate in studio e affini, uscì anche un megadocumentario tv a puntate sulla storia del quartetto, affidato alla narrazione degli stessi ex Beatles. In quella circostanza, Paul, George e Ringo tornarono insieme in sala d’incisione a lavorare su due inediti di Lennon, “Free as a bird” e “Real love”, incise su nastri consegnati da Yoko Ono. La prima, una ballata incompiuta di cui esisteva solo una demo dall’audio di scadente qualità, fu completata dai superstiti, con il sistema compositivo che tante volte Lennon e McCartney avevano sperimentato: un brano prevalentemente composto da uno dei due veniva finito dall’altro. Il risultato, malgrado la voce un po’ metallica di Lennon, fu comunque notevole, e molto d’impatto fu anche il video che accompagnò il singolo. Meno felice forse fu la resa del secondo brano, pubblicato nel 1996 (ufficialmente l’ultima canzone della discografia dei Beatles), attorno al quale si sollevò una polemica tutta British quando “Real love” fu esclusa dalla playlist di Bbc Radio 1 perché considerata dal sound datato e non gradita dai giovani. I fan si ribellarono, intervennero anche un paio di deputati, Paul McCartney scrisse un articolo sul Daily Mirror dicendo che l’influenza della musica dei Beatles sulla giovane musica dei Novanta era evidente e dichiarata e che questo faceva loro molto piacere.
La reunion del 1995 coronò un sogno cullato per un quarto di secolo dai beatlesiani, quindici anni dopo la morte di Lennon
La reunion del 1995 coronò in qualche misura un sogno cullato per un quarto di secolo dai beatlesiani. Un sogno che in realtà si era infranto alla fine del 1980 quando la sera di lunedì 8 dicembre Mark David Chapman assassinò Lennon sparandogli davanti al Dakota Hotel di New York City. La scioccante morte dell’ex beatle arrivò in un momento particolare, quando Lennon aveva ripreso a fare musica dopo cinque anni di ritiro dalle scene, dedicati alla famiglia e in particolare al secondogenito Sean. John progettava all’epoca di andare per la prima volta in tour – da solista aveva fatto solo pochi saltuari concerti – e la stampa aveva ripreso a fantasticare del sogno impossibile, un ritorno dei Beatles, separati allora ormai da dieci anni esatti. Un’ipotesi sulla quale in una intervista del 1975 Lennon non chiuse del tutto. “C’è sempre una possibilità”, aveva detto del resto lo stesso John nel 1973 a proposito di una possibile riunione con gli ex compagni. E pare che tra il 1974 e il 1975, l’idea di ritrovarsi insieme, almeno per un concerto, avesse davvero accarezzato gli ex Beatles.
Ma per arrivare a quel genere di suggestioni, dovette passare un po’ di tempo dopo la rottura. Solo intorno alla metà degli anni Settanta l’idea sembrò in qualche modo ipotizzabile, almeno per John. Cioè quando i tempi degli screzi con il partner Paul, la sua vecchia “fidanzata” lo definì Lennon sul palco del concerto del Thanksgiving di Elton John nel 1974, furono lontani.
Lennon e McCartney fecero pace. Ma non collaborarono più come invece accadde più volte con Harrison e Ringo Starr
Tra i due il solco che si era scavato dopo lo scioglimento, datato 1970, era profondo. Ed erano volati stracci. Screzi, battibecchi a mezzo stampa, incomprensioni: la partnership tra i due musicisti e amici era talmente profonda, complessa, in qualche modo vitale per entrambi, che lo scioglimento della band portò con sé una buona dose di veleno. Nel 1971, Lennon aveva gestito la pratica a modo suo. Infastidito da un’intervista in cui McCartney celebrava il suo ruolo nella fattura di “Sgt. Pepper’s” e ritenendo che nell’album “Ram” dell’ex socio vi fossero dei riferimenti celati e sgradevoli a lui e a Yoko Ono (in particolare la canzone “Too many people”), John compose una canzone al vetriolo, con messaggi tutti espliciti all’indirizzo di McCartney. Si intitolò “How do you sleep?” (“Come dormi?”) e fu inserita nell’album “Imagine”. Tra le altre cose, il testo diceva che la musica di McCartney da solista era robaccia (per la precisione “muzak”, musica da ascensore o da supermercati) alle orecchie dell’ex partner e che l’unica cosa che Paul avesse fatto di buono era “Yesterday”. Piccolo dettaglio: per incidere il brano contro Paul, venne a dare man forte a Lennon George Harrison, che suonò la chitarra solista. Un indizio di come i rapporti all’interno della band si fossero avvelenati in quel periodo. E dire che nel suo album successivo, a strettissimo giro di posta, McCartney inserì una canzone molto personale e sofferta dedicata al suo ex alter ego, “Dear friend”, una mano tesa per la riconciliazione con John.
Il tempo lenì le ferite. Lennon e McCartney in seguito, soprattutto quando il primo si ritirò dalla vita pubblica, cominciarono a sentirsi al telefono e si incrociarono qualche volta negli Stati Uniti, dove l’autore di “Imagine” si era trasferito nel 1972. Fecero pace. Ma non collaborarono artisticamente come invece accadde per entrambi più volte con Harrison e Starr. Ad esempio, nell’album solista di Starr “Ringo” del 1973 gli ex Beatles suoneranno tutti e quattro, ma separati; con il batterista ci saranno Lennon e Harrison in “I’m the greatest” (scritta da John) e Paul e Linda in “Six o’clock” (scritta dai coniugi McCartney).
Ma nel grande romanzo del sogno impossibile della reunion, due incontri tra i giganti Lennon e McCartney sono rimasti celebri per i cultori della storia beatlesiana. Il primo risale al 28 marzo 1974. Avvenne nei Burbank Studios di Los Angeles. Lennon viveva il periodo noto come “lost weekend”, cioè si sera separato da Yoko Ono e trasferito in California con la segretaria della moglie, May Pang. Negli studios californiani si lavorava al nuovo disco di Harry Nilsson, amico di Lennon. Paul e la moglie Linda arrivarono sul posto. E successivamente si unirono alle sedute di registrazione. A loro si aggiunsero poi Stevie Wonder, Jesse Ed Davis e altri. Fu l’unica session, l’unica circostanza nota, in cui Lennon e McCartney suonarono insieme dopo lo scioglimento dei Beatles, John la chitarra e Paul la batteria. Di quella caotica strimpellata resta un bootleg, noto come “A Toot and a Snore in ’74” (si parla di “sniffare” nei dialoghi in studio).
Nel libro “McCartney”, il biografo Christopher Sandford racconta che quando Paul entrò nella sala d’incisione il tempo parve fermarsi. I presenti rimasero di pietra osservando i due grandi songwriter che si incrociavano dopo il gelo. Secondo Sandford, Lennon si avvicinò all’ex partner dicendo: “Valiant Paul McCartney, I presume?” (“il valente Paul, presumo”) e McCartney prontamente rispose: “Sir Jasper Lennon, I presume?”. “Valiant Paul” e “Sir Jasper John” erano due personaggi interpretati dai due in una pantomima ai tempi della Beatlemania. Mani si strinsero, il primo ghiaccio si sciolse, in sala si tornò a respirare: gli ex ragazzi che avevano cambiato la musica erano di nuovo “eyeball in the eyeball”, come quando scrivevano “She loves you” a casa del padre di Paul, a Liverpool.
L’altro più celebre faccia a faccia della leggendaria coppia è ancora più intrigante. Tanto da avere ispirato un bel film per la tv, “Two of us”, diretto nel 2000 da Michael Lindsay-Hogg, il regista che i Beatles avevano ingaggiato per il film documentario del 1970 “Let it be”. I fatti si svolsero il 24 aprile del 1976.
Nel corso degli anni Settanta gli appelli alla riunificazione dei Beatles erano frequenti. Qualcuno arrivò a offrire cifre vertiginose – anche a mezzo stampa – per ricompattare la band, la cui attività discografica si era interrotta dopo meno di otto anni. E proprio parodiando questo genere di offerte e di gossip, quella sera al popolarissimo show televisivo “Saturday Night Live” Lorne Michaels annunciò che avrebbe pagato tremila dollari se i Beatles si fossero presentati in studio a suonare insieme. “Dividete i soldi come preferite – disse –. Se volete dare meno a Ringo, fate voi”.
Caso volle che giusto quella sera, Paul McCartney e John Lennon si trovassero insieme. Paul, che passava da New York, era andato a trovare con la moglie Linda l’ex socio a casa, al Dakota. Era una cosa che capitava in quel periodo, le tossine del passato erano state smaltite. Fu lo stesso John Lennon a raccontare il gustosissimo aneddoto nella sua famosa, lunga intervista a Playboy del 1980.
“Era un periodo in cui Paul spuntava spesso a casa nostra con una chitarra. Finché una volta gli dissi: ‘Per favore, chiama prima di venire. Non è il 1956 e presentarsi alla porta non è più come allora. Fammi un colpo di telefono’”. Il solito Lennon. McCartney si offese ma poi passò. “Non lo dicevo per male, è solo che all’epoca mi prendevo cura di un bambino”, aggiunse John nel raccontare l’episodio.
E insomma, era uno di quei giorni di una visita a sorpresa nella Grande Mela del bassista mancino. I due ex ragazzi di Liverpool stavano guardando insieme la tv a casa di Lennon quando l’annuncio fu fatto in diretta al “Saturday Live”. Ed entrambi si dissero che sarebbe stato divertente presentarsi agli studios, lì a New York, per una gag. McCartney in seguito ricordò che Lennon disse: “Dovremmo andare e farlo!”. Ci pensarono su, i due amici. Ci pensarono un momento di troppo, perché alla fine, “troppo stanchi”, lasciarono perdere. E fu un peccato, perché quell’improvvisata in tv del magnifico duo armato di chitarra sarebbe diventato uno dei momenti più leggendari della storia della televisione. E della musica.
Antifascismo per definizione