C'è un motivo per cui la Capitale è ancora Roma, anzi un nome: Achille Lauro

La sua “Rolls Royce” e il suo personaggio, puro rock&roll

Stefano Pistolini

L’Italia si è accorta che Achille Lauro è ganzissimo. Solo per questo Sanremo-69 è promosso. Idem per la direzione di Baglioni, che ha il merito di aver affiancato a svariate lagne e alle buone partecipazioni di Silvestri, Ghemon e Nino D’Angelo la magnifica apparizione di uno che apparentemente non c’entra niente, ma invece c’entra moltissimo come A.L. Esibendosi all’Ariston, restituisce al Festival l’etichetta d’implacabile rassegna canzonettistica nazionale. Perché nel ventaglio di proposte sanremesi, Lauro De Marinis, 28 anni, in arte chiamato come il celebre armatore e l’ancor più celebre nave dirottata, ha la stessa rappresentatività di un’istantanea scattata sulla metro romana alle 8 e 30, dalle parti di Battistini.

 

Un prodotto vero, punto e a capo. A.L. del resto dispone di un suo piano per farcela, della sua estetica autoprodotta e di un citazionismo sconfinato: Beatles, Elvis, Hollywood, i Doors, anche se musicalmente è stato svezzato da Noyz Narcos, il re dei cattivi maestri, fin quando un paio d’anni s’è messo in proprio con la NoFace Agency, a capo della quale ha nominato sua madre. Che siate tra chi ha alzato il sopracciglio appena a Sanremo ha intonato “Rolls Royce”, o tra la maggioranza che ha osservato con disgusto la sua aria sfacciata e pericolosetta, che promette i temuti vizi e perversioni “del sabato sera”, A.L. si nota. Se n’è accorto Don Mazzi, che l’ha subito bollato come messaggero di Satana: “Il servizio pubblico mette in gara una canzone che inneggia alla droga”, ha tuonato (ma Lauro ha smentito che con quel titolo volesse celebrare le omonime pasticche d’ecstasy discotecara – a lui, dice, piace la fuoriserie-status del divismo).

 

Il fatto è che A.L. è un grande soggetto post-tutto. Mette insieme un’adolescenza complicata nella parte brutta di Roma nord, con una passione diretta e irrequieta per i prodotti della più dozzinale mall culture nostrana, dei quali sogna di diventare presto protagonista, agli inizi facendo punk e rap in quanto generi abbordabili, ma appena può calandosi con spontaneità nel ruolo di concorrente di “Pechino Express”, di consulente di Mara Maionchi a “X-Factor” (i bene informati dicono sarà un giurato del prossimo “The Voice”), di collaboratore di Anna Tatangelo ma anche di estimatore di Ghali. Con sempre a fianco un socio figo quanto lui: Edoardo Mannozzi, alias Boss Doms, producer sexy, che sarebbe quello coi capelli gialli.

 

Quando suonano “Rolls Royce”, A.L. contribuisce ad aprire baratri di sana incomprensione tra generazioni, vestendosi indifferentemente da uomo e da donna – tanto qualsiasi cosa si metta addosso gli sta benissimo – dichiarando senza vergogna di volere tutto come la maggioranza bulgara dei suoi coetanei, sfottendo i giornalisti dichiarando che il suo stile è “samba-trap”, tatuandosi in faccia “pour l’amour”, titolo del suo ultimo album, ammettendo che il mondo degli stupefacenti in passato effettivamente per lui ha contato parecchio. Ha già pubblicato un’autobiografia (“Sono Io Amleto”) e per “Rolls Royce” ha girato un videoclip a metà tra optical e il Supercafone, con quel suono che rievoca i Sigue Sigue Sputnik. Ovviamente è iper-social ma quando gli chiedono se è gay, sorride e dice no, però aggiunge che “le pose machiste del rap hanno stancato”, e sembra avere d’improvviso, banalmente, ragione. La conclusione è che A.L. è una rockstar piena, i cui effetti sulla scena nazionale saranno destabilizzanti, a dispetto dell’intorpidimento che ha catturato il nevrotico panorama trap. Infine, se vogliamo aggiornare gli indici tricolori di coolness, se lui e Boss Drom stanno a Roma come Rovazzi e Fedez stanno a Milano, allora è ufficiale che la Capitale l’abbiano collocata nel posto giusto.

Di più su questi argomenti: