Inarrivabili Birkin. Acquistare le celebri borse è sempre più complicato: la questione arriva in tribunale

Fabiana Giacomotti

Una coppia californiana ha trascinato Hermès in tribunale per “pratiche commerciali sleali”, denunciando di essere stata “costretta ad acquistare prodotti secondari per ottenere l’accesso alle borse Birkin”. La cosa non stupisce ma c'è un punto da rivedere nella politica della maison più elegante del mondo

Ci sono molti modi, anche sottili ed eleganti, per far sentire una persona sgradita, leggete Proust e ne otterrete un campionario quasi inesauribile. È noto però che la moda ne abbia di suoi propri, infinitamente più efficaci perfino di quelli messi in scena nel famoso siparietto di “Pretty Woman” in cui Julia Roberts, nei panni della pur poco credibile escort Vivien, viene respinta da due vendeuse in una boutique di Rodeo Drive, che è l’esempio a cui tutti fanno riferimento non avendo appunto letto alcuno dei libri della Recherche e ignorando dei patemi di Odette de Crécy o di madame Verdurin nella loro scalata alla buona società. La notizia che una coppia californiana abbia trascinato Hermès in tribunale per “pratiche commerciali sleali”, denunciando di essere stata “costretta ad acquistare prodotti secondari per ottenere l’accesso alle borse Birkin”, non ha infatti stupito più di tanto la clientela italiana, e in particolare quella milanese, dove da anni gira la storiella della parvenue dai riccioloni scuri che sarebbe riuscita a procurarsi un’uguale borsa dei desideri solo dopo aver acquistato per anni bibelot e piatti di porcellana (“di cui ha piena la cantina”, si ridacchia).

 

La leggenda confligge con lo strabordante numero di Birkin che, a prescindere della policy aziendale, cadenzata su un’elaboratissima pratica cerimoniale che rende impossibile l’acquisto immediato di una borsa, negli anni abbiamo visto al braccio di ben poco attraenti testimonial spontanee, dalle Olgettine e le igieniste dentali dei tempi andati ad attuali improbabili influencer; un’evidenza che ha reso le stesse Birkin un po’ invise a certe signore “old money”, ora attratte da modelli diversi. Ma a dispetto della posizione ufficiale di Hermès sulla vicenda, che oltre allo scontato no comment lascia intendere come una simile pratica accumulativa di meriti commerciali sia gravissima, abbiamo sentito parlare di qualcosa di simile proprio l’altra sera, a una elegante cena romana. Che la difficoltà di accesso alle borse di Hermès, oltre al loro prezzo, sia uno degli elementi fondativi della loro desiderabilità, è evidente. E’ però risaputo che, nonostante sulle cosiddette it bag gli addetti alle vendite di Hermès non guadagnino nulla, al contrario ricevano una commissione del 3 per cento sui prodotti accessori venduti. E questo, forse, è un punto da rivedere o da controllare nella politica della maison più elegante del mondo.

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