moda

Cosmogonie notturne di velluto e cristallo per Gucci

Fabiana Giacomotti

Note a margine della sfilata a Castel del Monte, sito Unesco che la maison contribuirà a restaurare con 500mila euro. Parlando di turismo con Emiliano e di guerra con Alessandro Michele

Lunga fila di ospiti lungo la scalinata di accesso al castello. Tira vento; molti si avvolgono grati nel plaid bicolore che hanno trovato sulla propria seduta, una panca di legno costruita attorno al perimetro delle mura bianchissime di Federico II, al momento coperte dalla proiezione di alcune costellazioni dell’emisfero boreale. Effetto Stupor Mundi ottenuto. "Sono molto colpito. Raramente ho visto vestiti così belli", ci dice il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano in francesine nere. E' appena terminata la sfilata Cosmogonie di Gucci a Castel del Monte, sito Unesco dal 1996: centouno uscite, molto velluto, molti cristalli ricamati, una lunga teoria di cuissard allacciati bicolore modello La Goulue nonostante i numerosi riferimenti dei capi di abbigliamento ai fine Trenta-Quaranta di Greta Garbo epoca Adrian, cioè grandi spalle sormontate e casacchine con gli orli stondati comprese (allora erano in scimmia o in mongolia naturali, adesso in peluche a colori digradanti).

 

Frequenti e molto apprezzati i tailleur e le camicie over, strette però ai polsi da piccole gorgiere del genere indossato dai personaggi di El Greco o abbinate a colli di organza bordati di pizzo, larghi sulle spalle come quelli dei don Rodrigo 1630. Jeans e giacche tempestate di cristalli. Molto luccicore. Interessanti le borse di legno bicolore, ancorché non ci siano dubbi che i modelli piccoli allacciato all’avanbraccio siano comodissimi per partecipare a una serata mantenendo le mani libere. Il direttore creativo di Gucci Alessandro Michele, che ogni tanto ricorda di essere “un costumista mancato” ma in realtà, dal 2015 a oggi, è riuscito nella difficilissima impresa di ricordare al mondo quale possa essere l’apporto della storia del costume nella contemporaneità, racconta che l’ispirazione principale sia stata la recente acquisizione di una borsina in tessuto jacquard a motivi di battaglia fra cavalieri persiani (o forse era caccia, la vicinanza con gli scopi di Castel del Monte è comunque evidente) che la diva della solitudine come modello d’eternità si fece realizzare da Guccio Gucci nell’immediato dopoguerra. Non ci sono ancora rilevazioni sul numero di persone che si sono collegate per la diretta web da tutto il mondo.

 

Mentre ci si incammina verso l’uscita e l’atteso – breve - concerto dei Maneskin che fino a pochi minuti prima si sono fatti fotografare con la sindaca di Andria, Giovanna Bruno, Emiliano lancia una cifra: "Un miliardo". Potrebbero essere stati di più, comunque. Osserviamo che dovrebbe essere entusiasta, visto che il sito di Castel del Monte, pur qualificandosi fra le venti destinazioni più importanti d’Italia, è visitato annualmente da meno di trecentomila persone mentre la Regione che presiede nel 2021 ha superato il milione, con tassi di crescita a doppia cifra dal Tavoliere a santa Maria di Leuca. Ci guarda come se non ci rendessimo bene conto della situazione: “Noi teniamo volutamente a un numero di visitatori relativamente contenuto per il castello. Ha visto che qui attorno ci sono poche costruzioni (alcuni sono evidenti abusi Anni Settanta, ndr), bar o ristoranti tranne un unico punto di ristoro, che non ci sono luci, che le strade di accesso non sono pensate per le folle. Questo luogo magnifico va preservato”. Ribattiamo che averlo reso protagonista di una diretta web di Gucci non è stato forse il modo migliore per tenerlo nascosto e che se la quasi totalità dei trecentocinquanta ospiti non l’aveva mai visitato e, nel momento in cui la produzione si è allontanata, si è riversato nelle sue sale e nel meraviglioso cortile di breccia corallina e marmi, adesso un miliardo di persone sognerà di poter fare altrettanto. Sorride. Forse conta sulla volontà che si rende necessaria per arrivare fin qui. Come già in occasione della sfilata Cruise del maggio 2018 negli Alyscamps di Arles, la maison ha generosamente contribuito ai progetti di restauro del sito, conservato piuttosto bene ma ormai privo di quasi tutti gli elementi di decorazione e di conforto che anche nei secoli dell’arredo mobile e provvisorio erano ovviamente d’uso, e in particolare i camini. La donazione è pari a circa 500mila euro: adesso, con il ministero della Cultura, inizieranno stanziamenti e progetti. Le Libere Associazioni di Andria, che in questi giorni avevano protestato con la nuova sindaca di non aver voluto orchestrare una festa di piazza con un bel maxischermo per poter vedere quello che avrebbero potuto seguire comodamente sullo smartphone, come da copione si sono dunque “indignati” e, contando sull’assonanza fra il brand e il nick dei tanti Domenico sparsi per la città, “mingucci”, hanno organizzato una “controsfilata” per il meglio caruggio cittadino, denominato appunto Via più Stretta. Noi che eravamo appollaiati attorno al maniero come gli uccelli predatori tanto amati dal sovrano normanno, che all’arte della falconeria dedicò uno dei testi più noti di tutti i tempi, abbiamo cercato invano qualche registrazione dell’evento. Ne accenniamo ad Emiliano, all’oscuro delle proteste e del tutto disinteressato ad alimentarle di fronte a un successo così evidentemente planetario: se i tanti indignati perenni sapessero quanto si agitino a vuoto, i social si svuoterebbero almeno della metà.

 

Dunque, Castel del Monte, in ottime condizioni e in mani litigiose. Privo di cucine, scantinati, stalle, fossato, è difficilmente definibile agli occhi degli esperti contemporanei come il “castrum” di cui lo stesso Federico scrive nel celebre mandato del 29 gennaio 1240, e che molti documenti testimoniano sia stato usato nei secoli sia come prigione (già nel 1246, ancora vivente Federico), sia come sede di guarnigione, sia come riparo in caso di assedio. Agli occhi dei contemporanei, piace invece moltissimo la teoria che vede Castel del Monte come centro irradiatore di energia, o, per la sua forma ottagonale con quel cortile perfettamente centrale, dalle pareti lisce, privo di strutture a vista, di connessione fra la terra e il cielo. E’ questa, in tutta evidenza, la teoria che più seduce i contemporanei, ormai piuttosto consci di aver perso un buon pezzo di sapere lungo la strada della tecnologia e della secolarizzazione. Ed è anche questa la teoria che ha sedotto Michele e che deve essere stata fonte di lunghe conversazioni con il compagno, Giovanni Attili detto Vanni, docente di urbanistica alla Sapienza e primo consigliere, primo supporto, primo : le “misure magiche”, gli straordinari e ancora misteriosi rapporti matematici , quel suggestivo rapporto paritetico fra “il dentro e il fuori” del castello che evoca, inevitabilmente, quello fra il corpo e il vestito, e nell’abbigliamento e nelle misure il il suo rapporto con la sezione aurea, la simmetria che vorremmo superare a colpi di positività corporea, di body positivity, e che invece continua ad attrarci come un calamita. La moda, le misurazioni, sono matematica, come attorno ai numeri, al numero otto, è costruito l’edificio: il direttore creativo di Gucci, i capelli annodati in trecce come spesso fa, ma che in un’occasione come questa non possono che ricordare le acconciature degli antichi normanni, parla di “mistero dei vestiti” e dei rapporti indissolubili fra energie terrestri e celesti, della potenza del pensiero e delle relazioni umane.

 

Fra le note di sfilata compare anche il saggio di Hannah Arendt su Walter Benjamin, morto suicida non solo perché braccato dalla Gestapo ma perché, come suggeriva la filosofa e attivista, non avrebbe potuto continuare a vivere dopo essere rimasto privo dei propri manoscritti e della propria biblioteca, già dimezzata nella fuga dalla Germania a Parigi: “Come poteva, proprio lui, guadagnarsi da vivere senza le lunghe raccolte di citazioni e gli estratti?”. Come avrebbe potuto vivere senza l’Altro, senza la sua personale costellazione umana? In molti vanno citando Arendt in questi mesi di guerra: questo passaggio, che supera a destra l’abusatissimo aforisma sulla banalità del male, va al cuore della questione, alla nostra totale incapacità, nel 2022, di concepire una scissione violenta del pensiero in culture, popoli e tradizioni che sentiamo culturalmente affini, a cui ci legano secoli di relazione. Michele dice che “la moda celebra la vita”, e il rinnovamento, e la volontà di affermazione del sé unico nella collettività. La moda di oggi, in effetti, è questa. Non è caducità, come la voleva Giacomo Leopardi nel celebre dialogo fra la morte e la moda. Pur nei suoi tanti scopi, è continuo rinnovamento. 

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