Maison Valentino riscrive le regole della pubblicità di moda

Fabiana Giacomotti

Fare pubblicità di moda senza mostrarla. Un esercizio difficile e un azzardo totale: una campagna di solo testo. Interessante

Lanciare una campagna di solo testo, come sta facendo Maison Valentino in questi giorni, è esercizio difficile e azzardo totale, e non solo perché in questi anni di predominanza dell’immagine e di letture iper-veloci, si presume che pochi riescano a concentrarsi su un testo per più di pochi secondi. In realtà, le cose stanno così da ben prima che Instagram ci trasformasse tutti in cloni della pesciolina Dory. Già alla fine degli Anni Quaranta del Novecento, David Mackenzie Ogilvy, il nobile eccentrico e irrequieto che rivoluzionò per sempre la pubblicità moderna con i suoi testi folgoranti (“for more information on lung cancer, keep smoking”), sosteneva che il successo di una campagna sia inscritto nel titolo: “Quando hai scritto il titolo, hai speso l’ottanta per cento del tuo dollaro”. Di solito, il suo compito era di far vendere rasoi, dentifrici, Rolls Royce (“A 60 miglia orarie, il rumore più forte che senti è quello dell'orologio elettrico”). Ma quando per la prima volta si occupò di abbigliamento, e nello specifico di camicie da uomo, capì che mostrare il capo non avrebbe intrigato nessuno, né marcato la differenza in un mondo zeppo di camicie da uomo sostanzialmente identiche. Dunque, scardinò i codici del settore con una bodycopy lunga mezza pagina e un modello che indossava una benda sull’occhio. La camicia non si notava praticamente più, ma il loro produttore andò in rottura di stock in una settimana, e “The man in the Hathaway shirt” è ancora un caposaldo della comunicazione di tutti i tempi.

   

 

Che cosa era cambiato rispetto a prima? La narrativa. Non darmi la camicia, dammi il racconto del tipo che la indossa. Qualcosa che la pubblicità di moda non ha mai capito o, per meglio dire, non ha frequentato negli ultimi quarant’anni, scegliendo in massa gli stessi fotografi, le stesse modelle, quasi sempre le stesse atmosfere (quelle “di moda” del momento), e trovandosi dunque costretta ad agire su leve di marketing “altro” (eventi, sfilate ipertrofiche, glorificazione felliniana del direttore creativo) per differenziarsi.

 

Per assurdo proprio i social, e l’attività degli influencer, che solo apparentemente è legata all’immagine, ma che in realtà agisce a livello profondo sul rapporto fra abito e personalità, hanno reso evidente la necessità di un cambio di passo. Non a tutti, ovviamente. C’è chi procede per tentativi, in un gustoso mix di piani semantici che generano confusioni esemplari, e c’è chi cerca di riscrivere, letteralmente, le regole, che è il caso di Maison Valentino. Fare pubblicità di moda senza mostrarla attiene più all’esercizio barthesiano – capovolgo la semantica e vedo che cosa succede - che alla pubblicità spiccia, e proprio per questo l’esperimento risulta interessante.

  

Innanzitutto perché in questa nuova campagna “Narratives”, la seconda dopo un primo affondo nel 2012, il direttore creativo Pierpaolo Piccioli ha stretto un accordo con i maggiori scrittori degli ultimi trent’anni (elenco completo da ola: Alok Vaid-Menon, Amia Srinivasan, André Aciman, Andrew Sean Greer, Brit Bennett, David Sedaris, Douglas Coupland, Elizabeth Acevedo, Emily Ratajkowski, Fatima Farheen Mirza, Hanif Kureishi, Leila Slimani, Melissa Broder, Michael Cunningham, Mieko Kawakami, Murathan Mungan e Chung Serang).

 

Poi, perché ha scelto un approccio in apparenza più facile, in realtà più radicale, sul tema: l’amore, in tutte le sue forme. Quindi, perché ha deciso di adottare, in gergo “take over”, un nutrito gruppo di librerie internazionali per promuoverla, finanziandole, in quello che definisce “un approccio pro-attivo di restituzione alla comunità”. Il marchio continuerà infatti a sostenere selezionate librerie indipendenti e rinnoverà la collaborazione con il Belletrist Bookclub, fondato nel 2017 da Emma Roberts e Karah Preiss, promuovendo happening culturali e invitando la comunità a prendere parte ad un dialogo aperto. La “guerrilla di parole”, parte da Soho, a New York, ma sta toccando altre città americane, per poi approdare in Europa. Joanne Saul e Samara Walbohm, le due libraie della Typebooks di Toronto, hanno postato un filmino in cui affiggono uno dei poster con i testi in vetrina. Una indossa le stesse scarpe rosa chewing gum Valentino scelte dalle milanesi per questa stagione, che si sono sentite subito tutte più intelligenti.

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