Studenti di Yale (foto LaPresse)

A Yale va in scena il paradosso di genere

Ora gli uomini denunciano il matriarcato interiorizzato

L’ufficio per i diritti civili del dipartimento dell’istruzione, una specie di divisione della polizia della correttezza politica che veglia su minoranze discriminate e studenti offesi da chi non la pensa come loro, ha aperto un’indagine sull’università di Yale. Il caso riguarda una violazione del famoso Title IX, l’articolo ce regola i casi di discriminazione e che viene invocato, talvolta brandito, ogni qualvolta uno studente sente di essere stato vittima di una microaggression a sfondo razziale oppure si sospetta che la lunga mano del patriarcato interiorizzato abbia colpito ancora. Il caso in questione tratta proprio di discriminazione di genere. A presentare la denuncia è stato uno studente di dottorato della University of Southern California di nome Kursat Christoff Pekgoz, il quale non ha alcuna affiliazione con Yale ma nondimeno ha notato che la prestigiosa università del Connecticut ha diversi programmi e associazioni riservate alle sole donne, e a rigore della logia del Title IX si tratta di uno squilibrio indebito che non è nemmeno bilanciato dalla presenza di associazioni riservate agli uomini.

 

Secondo il querelante, il Women Faculty Forum, il Working Women’s Network, la Yale University Women’s Organization, la Yale Women’s Campaign School, la Yale Women Innovators, Smart Women Securities e la Women Empowering Women Leadership Conference sono organizzazioni che discriminano gli uomini (e, aggiungiamo, tutte le altre identificazioni di genere previste dallo spettro in continua evoluzione delle identità). La risposta classica a questo tipo di denunce per discriminazioni “al contrario” è nota: le condizioni strutturalmente sfavorevoli in cui versano le categorie sottorappresentate giustificano l’esistenza di associazioni ed organizzazioni ad accesso esclusivo, per riequilibrare il campo e ricominciare la partita ad armi pari. Ma è proprio su questo punto che Pekgoz fa la sua battaglia, raccolta dal dipartimento dell’istruzione: la Yale, dice, le donne non sono più discriminate, sono pari agli uomini in termini di numero e di accesso, non soffrono di svantaggi misurabili, perciò i il sistema associativo e di borse di studio assegnato per genere si è trasformato da incentivo alla parità a strumento di esclusione dei maschi. Nella sua denuncia chiede che l’università gradualmente elimini i programmi esclusivamente femminili e adotti una politica totalmente genderblind per selezionare gli studenti: “Il dibattito qui riguarda il modo in cui definiamo una categoria sessuale sottorapresentata, e il dato principale a cui dovremmo guardare è il tasso di iscrizioni”.

 

Prendendo in considerazione quello, non c’è traccia di discriminazione. Lo studente, di origini turche, ha dichiarato di essersi considerato a lungo “femminista”, salvo poi rendersi conto, navigando nell’ambiente universitario, che le premesse vittimiste su cui si basa il discorso femminista non stanno in piedi. Almeno non a Yale e in altre università da lui parimenti denunciate, dove senza motivi apparenti le donne godono di privilegi negati ai maschi. Non è il primo a sollevare il caso. Altri quattro studenti negli ultimi anni hanno denunciato favoritismi e discriminazioni, e almeno in una circostanza è intervenuto anche l’ufficio per i diritti civili, dove però il clima è cambiato dall’insediamento dell’Amministrazione Trump. Pekgoz ha messo il dito nel paradosso della protezione del genere vessato dal patriarcato, un valore idolatrato e intoccabile che però dovrebbe, per sua natura, dissolversi una volta raggiunto il suo obiettivo, cioè la parità. A Yale, sostiene lo studente, l’ideale della parità è a tal punto compiuto che i discriminati, ormai, sono gli uomini.

Di più su questi argomenti: