Escludere i maschi è un reato di discriminazione sessuale

Simonetta Sciandivasci

Università, organizzazioni no-profit, workshop, corsi per le donne finiscono sotto indagine per discriminazione sessuale ai danni degli uomini. Alcuni casi in America raccontano il farsi di una nuova giurisprudenza 

Ci sono barber shop, discoteche, locali, saune, palestre dove è proibito l'accesso alle donne. Succede anche al contrario, con l'aggiunta che, agli uomini, si proibisce anche d'entrare a corsi universitari, coworking, eventi, workshop dedicati esclusivamente e specificamente alle donne. Qualche maschio, però, si è sentito discriminato in quanto maschio ed è andato dall'avvocato (dov'è ovvio che finiscano tutte le guerre maschi contro femmine) e così, attualmente, la Yale University e la University of Southern California e molti spazi di coworking per sole donne sono indagati per discriminazione ai danni degli uomini e violazione del principio di equità di genere; un'organizzazione che invitava ai propri eventi solo donne per incrementarne il numero nel golf è stata chiusa (dopo una battaglia legale vinta da un avvocato molto attivo sul fronte del gender equality, però dalla parte più inaspettata e cioè maschile: si chiama Alfred Rava). Ci sono guai legali in arrivo perfino per Ladies Get Paid, una no-profit che nello statuto e nelle intenzioni si dichiara “pro-diversity” e che è attivissima nel supportare le imprenditrici e aiutarle a ottenere gli stessi salari dei colleghi (bel cortocircuito, no?): lo scorso anno, due ragazzi esclusi da un evento a Los Angeles (sull'invito era scritto: “benvenute ragazze, spiacenti per i ragazzi!”), hanno deciso di sporgere denuncia appellandosi al Civil Right Act della California, che proibisce la segregazione sulla base di sesso, razza, colore. La giurisprudenza americana, per ora, ha un campionario acerbo in proposito e, pertanto, l'esito dei dibattimenti non è affatto scontato.

 

Chris Dolan, avvocato molto famoso nel campo dei diritti civili, ha spiegato a Slate che il Civil Right ammette una distinzione tra organizzazioni a scopo di lucro e no-profit, dalla quale discende che le seconde, per via del fine sociale che si pongono (come, in questo caso, annientare la discriminazione cronica che è il gender pay gap), non possono essere condannate. In sostanza, discriminazione è quando qualcuno ci guadagna. In più, sempre secondo Dolan, la scelta di alcune organizzazioni a supporto del lavoro femminile di estromettere gli uomini dai propri corsi, trova fondamento in un dato oggettivo e comprovato: in un ambiente professionale o di studio senza uomini, le donne sono più produttive. Il dubbio che i dati alla mano e le relative inferenze non siano immutabili sembra non sfiorare nessuno ed è per questo che si rinuncia alla possibilità che un ambiente misto mini l'efficienza lavorativa di donne e uomini e, per sradicare il problema, se ne creano di esclusivi. È uno specchio fedele della ritrazione delle società aperte in favore di quelle chiuse. È uno dei tanti esempi di difficoltà di coabitazione tra individui diversi e della rinuncia ad affrontare e superare quelle difficoltà. È uno dei tanti muri, questo tra donne e uomini a lavoro, che ci vediamo edificare tutt'intorno. Le attiviste di Ladies Get Paid, intanto, hanno indetto un crowdfunding per pagare le spese legali che dovranno affrontare.

Quest'estate si inaugura, in Finlandia, un resort molto costoso per sole donne. Intenzione dell'imprenditrice che lo ha finanziato e ideato è offrire alle clienti una vacanza in cui essere “libere dalla pressione sessuale”. La diagnosi è chiara ed irreversibile: in presenza dei maschi, le donne danno il peggio, quindi tanto vale levarglieli di torno. Pensatela al contrario: sarebbe ammissibile? Le attiviste sotto processo controbattono che invertire i termini della contesa non si può, essendo termini non alla pari. Aspettiamo la parola dei giudici.